Il sogno berbero dell’Algeria

È fatta. Russia rispedita a Mosca da Slimani e Algeria agli ottavi di finale.

D’accordo, adesso c’è la Germania e non c’è niente da ridere (tranne quando Joachim Löw si ravana nel naso, a quanto pare). Ma il risultato è storico e notevolissimo: a fare le spese del momento d’oro della compagine nordafricana sono Nazionali ben più blasonate come la Russia e la Corea del Sud, sulla carta più attrezzate delle Fennec per arrivare agli ottavi.

Eppure il guru bosniaco Halilhodžić ha fatto il miracolo, ha saputo plasmare una squadra che ha una sua vera identità di gioco e una caratura tecnica dalla metà campo in su che non è mica da ridere (l’Algeria è finora andata a segno in tutte le partite giocate, siglando ben sei gol in tre gare; meglio dell’Argentina, per dire). Brahimi, Feghouli, Ghilas, Bentaleb, Taïder e capitan Bougherra sono solo alcuni dei calciatori che in realtà nascono francesi e che solo successivamente sono stati naturalizzati algerini, spesso e volentieri dopo aver anche avuto qualche trascorso con le Nazionali giovanili transalpine. Scartati in momenti successivi alle varie esperienze nelle formazioni primavera dei club dai Galletti quando è divenuto palese che non sarebbero stati in grado di raggiungere il livello richiesto dai Blues, questi giocatori sono stati prontamente riciclati nella nazionale algerina da Halilhodžić (tranne Bougherra: il capitano non è mai stato preso in considerazione dall’Equipe francese e veste la maglia delle Volpi dal lontano 2003).

Il salto di qualità della compagine berbera si può spiegare anche in questo modo, infatti: aver approfittato di giocatori cresciuti e formati nel più organizzato e strutturato, nonché assai più competitivo, settore giovanile francese (o di altri paesi europei, come nel caso di Mesbah, cresciuto in Svizzera) ha contribuito notevolmente a innalzare il livello complessivo algerino. Non riesci a diventare un totem del calcio con la maglia del Paese in cui sei nato? Nessun problema, vesti i colori dei tuoi genitori e scoprirai che sei molto importante per quella che, beffando la genetica, diventa la tua terra d’adozione. Molto di più di quanto tu non fossi dove sei cresciuto. D’altra parte Nessuno è profeta in patria. Ma in quella degli avi, quando è diversa, perché no?

Halilhodžić, bosniaco sì ma particolarissimo transfuga balcanico stabilitosi (e stabilizzatosi) in Francia, ha anche saputo organizzare al meglio da un punto di vista tattico il materiale umano a sua disposizione: un 4-2-3-1 in fase di possesso che si adatta rapidamente in un 4-4-1-1 in fase di copertura e, all’occorrenza, può diventare anche un 4-3-3 che esalta al massimo giocatori come Djabou, Brahimi e Feghouli; sanno tutti ondeggiare tra la linea dei centrocampisti e quella degli attaccanti con una certa elasticità: sono le loro posizioni in campo a trasformare il modulo secondo le esigenze del momento. Contro la Russia si sono viste tutte e tre le opzioni in vari momenti della partita. Un ruolo piuttosto importante lo ricopre il classe 1994 Bentaleb, messosi in luce nel disastrato Tottenham di quest’anno e subito lanciato nella mischia dal mister bosniaco appena ne ha avuto la possibilità, inserendolo nel suo gruppo solo a marzo scorso in quanto aveva bisogno di un regista basso che potesse garantire una fase d’impostazione lucida e precisa perché sia Yebda che Lacen sono sostanzialmente dei recupera palloni così come Mostefa, Medjani e Mandi hanno caratteristiche prettamente difensive (sono anche in grado di giocare proprio in retroguardia).

La parte migliore dell’Algeria, come si diceva poc’anzi, è formata dalla batteria di trequartisti, tutti rapidi, tecnici e talentuosi, che giostra dietro all’unica punta Slimani. Feghouli, Djabou e Brahimi hanno più o meno le stesse caratteristiche e lo stesso tipo di gioco: danno il meglio in spazi stretti e nel dribbling palla al piede; sono ugualmente capaci di raggiungere il fondo per crossare così come di tagliare in area quando hanno il pallone. Tutti e tre hanno anche sufficiente inventiva e visione di gioco per trovare assist dove non ci si aspetterebbe. Particolare non trascurabile: l’altezza media delle Fennec è ragguardevole e sui calci piazzati sanno farsi valere, specialmente Slimani, Ghilas e i difensori centrali.

Poi dei punti deboli, pure notevoli, ci sono: la difesa non è proprio serrata a doppia mandata (oltre a segnare sempre, hanno anche sempre preso almeno un gol) e la possibilità di svarioni collettivi, come nel caso del gol del coreano Son, esistono in ogni gara. Ciò nonostante questa squadra ha saputo mettere paura al Belgio, ha annichilito la Corea del Sud e ha silenziato la Russia meritandosi il passaggio del turno.

Il sapore storico che ha questa qualificazione dona lustro a una Nazionale che, a livello continentale, non vince nulla dal 1990 (peraltro unica Coppa d’Africa conquistata dalle Volpi del Deserto) e ha sempre sofferto molto la rivalità con la Tunisia, campione continentale nel 2004, e col Marocco, di norma più talentuoso ma anche incostante.

Oggi, però, il Maghreb è solo biancoverde grazie alla truppa agli ordini del comandante Halilhodžić, che ha saputo fondere un po’ del suo genio balcanico al talento nord sahariano delle Fennec di questa generazione.

E scusate se è poco.

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Giorgio Crico