Il tifoso isterico alla prova dell’eliminazione

«Io falso, io vero, io genio, io cretino», cantava Francesco Guccini già a metà anni Settanta. Anzi, ancora meglio: «Ma s’io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni…». Se io avessi previsto tutto questo (la partenza lanciata, la dormita con la Costa Rica, l’incapacità di guardare la porta, il morso di Suárez), sinceramente, non starei qui a fare lo scribacchino. Incasserei laute bollette, e vivrei alle Canarie.

Destino che dovrebbe essere comune a molti di quelli che adesso parlano. Quelli che sanno, che sapevano; che loro Prandelli non è che li ha mai convinti; che non ho capito perché non convocare Meggiorini al posto di Immobile; che Prandelli a Firenze era un santo finché non ha deciso di lasciare a casa Pepito Rossi (sacrilegio!); che anche i muri si accorgerebbero che Paletta c’era nell’unica vittoria, e poi non più, e quindi è palese che la sua assenza è stata decisiva.

«Io solo qui alle quattro del mattino, l’angoscia, un po’ di vino, voglia di bestemmiare», proseguiva Guccini, senza sapere di stare parlando di me e dei tifosi e giornalisti isterici. Le quattro del mattino mentre scrivo, l’angoscia di come fare per alzarsi domattina, al vino ho sostituito il tè, e la voglia di bestemmiare ce l’hanno un po’ tutti i tifosi (siano credenti o non).

È stata una partita degli addii, quella di ieri: atteso quello di Pirlo (grazie, davvero), atteso almeno dal 2010 quello di Abete, inatteso quello di Prandelli. Cioè: per quelle che sono le nostre abitudini, da quando in qua si dichiara che «Al termine della partita […] visto che il progetto tecnico è di mia responsabilità […] rassegno le mie dimissioni, perché, quando un progetto tecnico fallisce, è giusto che ci si prenda la responsabilità», e ci si chiude la porta alle spalle? Andiamo, non siamo su Scherzi a parte.

Poi l’arbitro, sì, non è stato all’altezza. Ma non che questo sia un alibi per una squadra che, oggettivamente, non è stata all’altezza del blasone e delle attese. Resta sempre valida la teoria di Aza Nikolić: mettetevi in condizione di non dovervi lamentare degli arbitri. Se il fallo di Marchisio è da espulsione, quello di Suárez è da galera. Ma se avessimo giocato davvero, non staremmo qui a parlare d’arbitri. E semmai dovremmo chiederci come mai, quando ci sono partite decisive, non ci assegnino mai qualche nome “vero”.

I fatti parlano contro questa squadra: mai pericolosa negli ultimi 180 minuti. Due partite che cancellano un lavoro quadriennale (calcolando anche che diversi infortuni non ci hanno aiutato)? La vittoria passa, ma il lavoro svolto rimane. Perché ci si dimentica spesso e volentieri che queste competizioni non le vince mai la squadra più forte: le vince chi è più forte durante quel mese. Grecia edizione 2004 docet.

Noi, questo bisogna dirlo, non siamo stati a quei livelli. Lo dimostra anche la reazione della squadra: un attimo dopo l’eliminazione, si è spaccata in modo difficilmente ricucibile. Buffon spara forte («quando poi si giocano queste partite, chi c’è c’è, chi non c’è non si vede»), De Rossi rincara («ripartire dagli uomini: uomini, giocatori, uomini veri, non da figurine, o personaggi o quant’altro»), e nel mezzo Prandelli offre il capo. Ha scommesso su Balotelli e su Cassano, e ha perso. Ed è disposto a pagare.

Basta con i processi, poi. Ha senso processare uno che si è dimesso? Ha sbagliato squadra (niente Criscito, niente seconda punta), ma due anni fa le aveva prese tutte. Era riuscito a spremere il massimo da una squadra quasi priva di stelle (e infatti in finale non avevamo più energie). Ieri, dopo la sconfitta e dopo quanto è stato detto (anche dai giocatori), è difficile che si possa ripartire ancora da Prandelli: squadra spaccata, c’è tanto da ricucire. Tra i giocatori, con gli addetti ai lavori, e anche con i tifosi.

Anzi, con i tifosi no: dieci giorni fa, all’alba del nostro mondiale, tutti improvvisamente erano saliti sul carro del CT. Adesso tutti si sono felicemente disarcionati. Eri il mio campione, adesso sei il mio zimbello. Comodo, facile, veloce, indolore. Come se cambiare condottiero trasformasse un branco di pusillanimi in un battaglione di marines. Se ci credete voi, io (non) mi fido.