Panchina Italia: un costruttore, un esteta, un ribelle

Come dopo una burrasca, il mare si ritrae e lascia sul bagnasciuga, liscio come la superficie di un biliardo, i resti del naufragio. L’Italia non s’è desta dal sonno profondo che dura dalle celebrazioni post-Mondiale 2006, quello del trionfo del collettivo e dell’italianità in Germania: dopo Sud Africa 2010 e le umiliazioni patite con Paraguay, Slovacchia e Nuova Zelanda, è arrivata la cocente delusione brasiliana con Costa Rica, Uruguay e Inghilterra, non proprio l’aristocrazia del calcio contemporaneo.

Il Ct Cesare Prandelli si è dimesso, a ruota lo ha seguito Giancarlo Abete, il Presidente della FIGC. L’obiettivo primario è quello di affidare la Nazionale a una guida sicura e capace, che sappia assumersi tante responsabilità quante quelle assunte dal tecnico di Orzinuovi, ma migliori. Riprendendo le parole e il senso dell’inno di Mameli, l’Italia ha bisogno di un nuovo Scipio, il trionfatore romano sui cartaginesi nella seconda guerra punica. Già, ma chi?

I candidati possono essere suddivisi in due categorie: nella prima ci vanno un costruttore, un esteta e un ribelle; nell’altra Zola e Baggio, gli sfavoriti in questa corsa alla panchina dell’Italia cui non è preclusa l’aggiudicazione definitiva. Altre soluzioni sono impraticabili, Claudio Ranieri ha già trovato un accordo di massima con la Grecia, Alberto Zaccheroni esce deluso dall’esperienza mondiale col Giappone.

Massimiliano Allegri rappresenta la scelta ideale per ripartire, lo fece il Milan conclusa l’era Ancelotti e il breve interregno di Leonardo: il tecnico livornese vinse due trofei in quattro stagioni con un calcio ermetico basato su tante verticalizzazioni per Ibrahimović e una solida base senatoria nello spogliatoio rossonero. Su di lui si è mossa la Federcalcio kazaka proponendo un contratto faraonico finalizzato alla qualificazione al Mondiale 2022; ma, se Albertini dovesse chiamare, difficilmente Allegri declinerebbe la proposta.

Luciano Spalletti è l’esatto contrario del pragmatismo. Pure lui toscano, ma di Certaldo, sarebbe l’opzione adeguata per portare entusiasmo a un movimento sportivo che ristagna nei suoi fallimenti Mondiali. Con la Roma ha ottenuto i suoi migliori successi in anni difficili, facendo emergere dei pischelli romani come De Rossi e Aquilani, sfiorando anche lo scudetto con un’idea calcistica offensiva fra le migliori in termini qualitativi.

Roberto Mancini è l’alternativa rivoluzionaria, è il suo passato che lo racconta: quando era quel giocatore magnifico, sempre alla ricerca del colpo balisticamente perfetto, ha saltato due Mondiali per un carattere non facile (l’indice al pubblico a Euro ’88 dopo il gol alla Germania) e a uno solo, quello del 1990, ha preso parte da convocato. Azeglio Vicini non lo vedeva perché gli avrebbe dovuto costruire un’intera squadra attorno, ecco perché alla Sampdoria era così forte. Con il rinnovo dell’assetto FIGC, il Mancio potrebbe riprendere un dialogo interrotto.

Se in un futuro lontano la Nazionale potrebbe essere gestita da Carlo Ancelotti o Antonio Conte, per il presente non vanno sottovalutate le candidature di due altri ex fuoriclasse: Gianfranco Zola, libero da dicembre dopo l’avventura al Watford della famiglia Pozzo, e Roberto Baggio, divenuto allenatore di prima categoria nel 2012 e sgravato dall’impegno della Presidenza del settore tecnico federale.

Chiunque sarà il nuovo commissario tecnico dovrà avere il coraggio di puntare tutto su giovani meritevoli innestati su d’uno zoccolo duro di campioni; dovrà mettere la parola finale sul Codice Etico, o si applica erga omnes o viene abrogato per illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà; infine creare alternative alla dipendenza dal “blocco Juve” che, sì, equipaggia di tanti giocatori la Nazionale ma in condizioni psico-fisiche pessime. Buon lavoro!