Un personaggio al giorno, dentro o fuori dal rettangolo di gioco, fino al 14 luglio: durante tutti i Mondiali vi regaleremo quotidianamente la biografia compressa di giocatori e non solo. Oggi è il turno di Cesare Maldini, una delle tante identità a essersi impossessate di Cesare Prandelli nel corso di questo mondiale.
Partiamo dal nostro Carletto: per chi non lo conoscesse, il simpatico cartone animato che furoreggiava sulle reti televisive private italiane negli anni ’80 e ’90, aveva, tra i suoi super-poteri, quello di poter assumere a proprio piacimento qualsiasi volto; tale dote gli consentiva di disimpegnarsi, pragmaticamente, tra le mille peripezie attraverso le quali si declinavano le sue avventure.
Il parallelismo tra i due Cesare, fissate le dovute premesse di cui sopra, appare finalmente di maggiore immediatezza anche agli occhi di chi, Carletto, sino a ora non sapeva chi fosse. Per necessaria completezza di informazione, vi rimandiamo alle gradevoli sigle di apertura e chiusura del più volte citato cartone animato.
In principio fu Vicente del Bosque: il nostro Cesare Prandelli, dopo aver preso in carico la Nazionale italiana di calcio tra le macerie dell’altrettanto fallimentare spedizione del 2010, decise di tentare di trasformarsi nel pluridecorato CT della Nazionale spagnola, impostando la filosofia di gioco dell’Italia sul fraseggio rasoterra, sul centrocampo folto, la difesa a quattro e il falso nueve (nello specifico Balotelli che, probabilmente, vero nove non sarà, almeno a breve).
Così ci presentiamo all’esordio contro l’Inghilterra con quattro difensori in linea, un volante alla Busquets (De Rossi), due registi dai piedi raffinati (Pirlo e Verratti), due tre-quartisti e, per l’appunto, il centravanti di manovra Balotelli. L’inizio è incoraggiante: nonostante qualche sbavatura difensiva di troppo, l’Italia affronta la gara nel modo giusto e porta a casa un meritato 2-1, che la proietta con decisione verso il passaggio del turno.
Poi qualcosa va storto; succede che Verratti accusi un po’ di stanchezza e che Prandelli inizi la prima metamorfosi: il volto bonario di Vicente del Bosque lascia spazio al marcato accento livornese di Max Allegri e il centrocampo di fini palleggiatori si trasforma in una mediana muscolare, con Thiago Motta al posto proprio di Verratti. Il risultato è la rovinosa sconfitta subita per mano della Costa Rica; si sperava fosse il punto più basso toccato nel Mondiale…
Il buon Carletto cerca dunque di correre ai ripari; abbandona le sembianze di Max Allegri e si trasforma in Antonio Conte: fuori De Rossi per infortunio, il CT coglie la palla al balzo per trasformare il suo 4-3-2-1 nel 3-5-2 vincente (si sperava) adottato dall’allenatore salentino. L’inizio della decisiva gara contro l’Uruguay non è neanche tanto male, perché l’Italia tiene botta contro i portentosi attaccanti della Celeste e dà spesso l’impressione di poter far male alla loro difesa.
Ma De Sciglio non è Asamoah, Verratti, pur avendo sfoderato una gran prestazione, non garantisce lo stesso equilibrio del miglior Vidal, Balotelli non è Tévez, Immobile non è Llorente e i principi di gioco di Conte non si improvvisano da un giorno all’altro (in più la Juventus schiaccia-sassi in Italia ha dimostrato più di qualche limite in campo internazionale; forse era il caso di porsi qualche domanda in più prima di tentarne un’infelice imitazione).
Ed è a questo punto che entra in campo il nostro Cesare Maldini: al termine del primo tempo c’è da sostituire Balotelli (acciaccato e ammonito) e il buon Cesarone si impossessa di Prandelli, trasformando il 3-5-2 in un 5-3-1-1, con una discutibile sostituzione tra il gigante d’ebano e Marco Parolo; ci si chiede come mai non siano stati presi in considerazione Cassano, Cerci, Candreva o almeno Insigne, ma si sia scelto, così, di trasmettere paura ai giocatori italiani e coraggio ai sudamericani.
Ricordiamo, a beneficio di coloro i quali non individuassero con immediatezza il parallelismo, la formazione dell’Italia eliminata dalla Francia ai Mondiali del 1998: (3-5-2): Pagliuca; Cannavaro, Bergomi, Costacurta; Moriero, D. Baggio, Di Biagio, Pessotto, Maldini; Del Piero, Vieri; non crediamo ci sia da aggiungere altro.
Infine, dopo l’espulsione di Marchisio, l’ultima, disperata, metamorfosi: quella in Dino Zoff, edizione Italia-Olanda degli Europei del 2000: anche lì in inferiorità numerica, anche lì in una gara da dentro o fuori, giocammo una partita leggendaria, di quelle che riescono una volta su mille…appunto.
E allora è lecito chiedersi quale fosse il senso delle dichiarazioni di Prandelli alla vigilia di Italia-Uruguay, quando lasciava intendere chiaramente che il popolo italiano mancasse di identità nazionale e patriottismo. Già, perché se in questo Mondiale c’è stato qualcuno senza identità è stato, ahinoi, proprio Cesare “Carletto” Prandelli.
13 giugno – Stipe Pletikosa
14 giugno – Stefano Bizzotto
15 giugno – Gary Lewin
16 giugno – il sorteggio
17 giugno – Pepe
18 giugno – Guillermo Ochoa
19 giugno – Iker Casillas
20 giugno – Roy Hodgson
21 giugno – Giorgio Chiellini
22 giugno – Miroslav Klose
23 giugno – Fabio Capello
24 giugno – il parrucchiere (di Neymar)