Brasile 2014 – “El Tricolor” che si fa onore
Ma che bel Messico.
Poco altro si può dire sul Tricolor dopo lo splendido girone eliminatorio disputato e la qualificazione ottenuta con 7 punti su 9. Tre partite, quattro gol segnati (più due annullati ma che erano regolari contro il Camerun) e uno solo subito, il punto della bandiera siglato dal croato Perišić ieri sera. Se l’esterno del Wolfsburg non avesse segnato, il Messico potrebbe ancora godere della qualifica di “miglior difesa del torneo” (ex aequo con la Nigeria) ma tant’è. A Miguel Herrera e i suoi, vista l’esultanza di ieri, probabilmente non importa poi granché.
Costruita su un 3-5-2 che in fase di possesso attacca con almeno cinque o sei elementi (le punte, gli esterni, una delle mezz’ali che fa da centrocampista incursore quando l’altra mezz’ala s’abbassa e il trequartista, se è in campo) e poi ripiega con tutti gli effettivi in transizione difensiva, la Nazionale messicana ha il suo nucleo principale nella generazione di talenti nati nella seconda metà degli anni ’80, arricchita da un lato dall’esperienza di alcuni capisaldi rimasti imprescindibili sia nello spogliatoio sia in campo nonostante non siano più così giovani (Rodríguez detto Maza e Rafa Márquez sono i principali, poi in panchina siedono due figure fondamentali e quasi sempre presenti per l’ultimo decennio di fútbol messicano come Salcido e Corona) e dall’altro da una banda di giovani virgulti nati dal 1990 in poi (ben sette convocati sui 23 totali, i più interessanti sono probabilmente Herrera, inesauribile, e Carlos Peña, soprannominato Gullit per una vaga somiglianza con l’ex Tulipano Nero).
Una squadra che ha quindi una spina dorsale stabile almeno da un lustro e che già impressionò positivamente in Sudafrica, dove eliminò alla prima tornata i padroni di casa e la Francia (in completo ammutinamento) in coppia con l’Uruguay. Allora la corsa finì contro l’Argentina grazie a un ottavo di finale che vide Carlitos Tévez in stato di grazia (e a un gol dell’Apache che fu foriero di polemiche a dir poco). Oggi la Nazionale è più matura, più esperta e più pronta ad affrontare una big come l’Olanda rispetto a quanto non fosse nel 2010.
Non bisogna mai dimenticare inoltre che il Tricolor è una squadra che sa soffrire, sempre e comunque. Nel loro piccolo anche le stesse qualificazioni giocate per arrivare sino in Brasile dimostrano che questi Mondiali sono un po’ “nati nel dolore” per i messicani: all’ultimo posto utile nel raggruppamento Concacaf (il quarto, dietro Usa, Costa Rica e persino Honduras) è seguito infatti lo spareggio con la Nuova Zelanda, surplus transcontinentale per strappare un biglietto verdeoro. In particolare è stata veramente deludente l’ultima fase di qualificazione che ha condotto il Messico in Brasile. Nel 2013, infatti, si sono alternati in panchina ben quattro allenatori diversi (nel girone finale Concacaf il Tricolor ha vinto solo due partite su dieci, perdendone tre e pareggiando le rimanenti). A questo scempio va aggiunta anche la terribile figuraccia rimediata contemporaneamente in Gold Cup, con l’estromissione dalla finale arrivata per mano della meno quotata nazionale di Panama, una débâcle senza precedenti per La Verde.
Come salvatore della patria è stato chiamato Miguel Herrera che, dopo la sconfitta con la Costa Rica nell’ultima partita del girone di qualificazione che sanciva l’obbligo di strappare il pass per i Mondiali passando dalla Nuova Zelanda, ha deciso di affrontare gli oceanici chiamando per il doppio confronto solo giocatori che militassero nel campionato messicano. Il risultato è stato brillante: nove gol rifilati agli oceanici e Tricolor sicuro di partecipare alla rassegna iridata. Ipotecata la certezza, Herrera ha potuto rimettersi a lavorare sul gruppo da portare in Brasile, cercando anche, a inizio 2014, di reclutare il figliol prodigo Carlos Vela, il quale non veste la maglia della Nazionale dal 2011 per varie controversie che si sono susseguite negli anni.
Appurato che nemmeno stavolta l’attaccante della Real Sociedad avrebbe fatto parte del gruppo, il buon Miguel ha organizzato parecchie amichevoli nella prima metà del 2014 per amalgamare il gruppo e sciogliere tutti i dubbi sui convocati, tra i quali spicca Oribe Peralta: il 30enne centravanti dell’América s’è guadagnato un posto sull’aereo per il Brasile segnando in ogni partita ufficiale giocata dal Messico nella seconda metà del 2013 e firmando da solo cinque dei nove gol che hanno messo nelle mani della Verde il pass per Rio de Janeiro, São Paulo, Recife e compagnia bella.
Da questa complicata genesi è nata la squadra che abbiamo ammirato fin qui e che adesso è attesa da un non banale esame di olandese negli ottavi di finale. Con l’intensità e il mix di atletismo e tecnica dimostrati fin qui, però, il Messico può senz’altro rendere la vita veramente dura agli oranje. E chissà che non ci scalpi anche una sorpresina…