Trentacinque squadre, solo quattro posti. Questi sono i due ingredienti essenziali delle qualificazioni ai Mondiali della Concacaf, la federazione continentale del centro e nord America. Qualificazioni che hanno visto fare le valigie per il paese verdeoro tutte e quattro le squadre possibili, compresa quella che avrebbe dovuto aggiudicarsi lo spareggio con la vincente del raggruppamento della Ofc, ossia la Nuova Zelanda (per la cronaca: stavolta si è trattato del Messico di Hernández, Peralta, Rafa Márquez e Maza).
Dopo la Ofc (la Oceanian Football Confederation), la Concacaf è probabilmente l’organismo calcistico continentale che vanta la minor tradizione complessiva in assoluto, almeno per quanto riguarda le competizioni internazionali e il palmarès delle Nazionali che fanno riferimento all’organizzazione (Messico a parte). Ebbene, nonostante si aspetti ormai da più di due decenni (da quel fantastico Camerun di Roger Milla a Italia ’90) l’esplosione definitiva del calcio africano, per adesso pare invece che alla ribalta ci siano centro e nordamericani o, almeno, questo è quanto dicono i Mondiali brasiliani finora.
Delle quattro portacolori della Concacaf, infatti, solo l’Honduras sta avendo un cammino da vittima designata (nonostante con la Francia abbia tenuto botta quasi 45′, almeno fino al rigore più espulsione che ha contemporaneamente privato La Bicolor del suo giocatore più rappresentativo, l’ex Tottenham Wilson Palacios, e regalato a Benzema la chance di sbloccare la partita). Le altre tre stanno invece comportandosi benissimo: la Costa Rica è già agli ottavi dopo aver fatto fare un bel bagno di umiltà a Uruguay e Italia, il Messico guida imbattuto il Girone A a pari punti col Brasile e si giocherà con la Croazia l’accesso agli ottavi mentre gli Stati Uniti hanno vinto all’esordio col Ghana ma devono superare i due impegnativi test con Germania e Portogallo.
Squadre atleticamente molto valide, tatticamente preparatissime, arcigne al punto giusto: non a caso, il Messico non ha ancora subito reti (possono dire lo stesso solo Germania, Nigeria e Iran ma tutte e tre queste selezioni hanno giocato una sola partita e non due) e la Costa Rica ha raccolto un pallone in fondo al sacco solo in virtù del rigore di Cavani, confermando la teoria che vuole la difesa impenetrabile come conditio sine qua non per ben figurare alla rassegna iridata. Los Ticos hanno già guadagnato la loro ribalta prendendosi gli ottavi e guardando dall’alto in basso le altre tre Nazionali del gruppo D ma, forse, la Nazionale di questo lotto che fa più impressione è quella a stelle e strisce: gli Usa sono arrivati agli ottavi nel 2002 e nel 2010 (dando entrambe le volte la sensazione di poter fare meglio con un pizzico di fortuna in più) e nel Mondiale tedesco sono stati l’unica squadra a non perdere con l’Italia poi campione nonché l’unica a segnare su azione agli Azzurri; non male per dei ragazzi che fino a vent’anni fa vivevano all’ombra della loro Nazionale femminile, una delle più vincenti e temibili in assoluto del football in rosa.
A mettere altra carne al fuoco, poi, ci ha pensato Jürgen Klinsmann, sfortunato tecnico della Germania al Mondiale casalingo del 2006, che s’è preso sulle spalle la causa yankee e ha già anche dichiarato che: “Gli Stati Uniti non vinceranno questi Mondiali“. Al di là del riso che queste parole hanno suscitato in moltissimi, tanti addetti ai lavori hanno sottolineato l’umiltà dell’ex giocatore dell’Inter ma ben pochi hanno evidenziato un’altra chiave di lettura, decisamente più ambiziosa: Klinsmann ha detto che gli Usa non vinceranno questi Mondiali, l’edizione 2014. Come dire: “Ai prossimi invece ce la giocheremo“.
Ora, si possono avere tante opinioni diverse degli americani ma, tendenzialmente, quando si mettono in testa una cosa poi la fanno. Nel bene e nel male. Questo tipo di proclama di Klinsmann non può passare inosservato: la crescita del movimento statunitense e della MLS è sotto gli occhi di tutti. Vent’anni fa Alexi Lalas, difensore all’epoca del Padova, era una sottospecie di rarità calcistica, quasi un animale da esposizione: un americano che gioca a calcio e non a baseball, basket, football (nella loro variante), golf o hockey. Un americano che gioca a calcio.
Oggi invece ci sono calciatori a stelle e strisce in tante squadre europee di vertice (o quasi), persino nei vivai e nelle formazioni primavera. La stessa cosa si può dire ormai anche di giocatori che battono bandiera diversa ma sempre targati Concacaf: Bryan Ruiz, per esempio, è esploso nel Twente, è stato al Fulham e adesso è di nuovo in Eredivisie, al Psv Eindhoven. Wilson Palacios, come si ricordava prima, è stato al Tottenham e adesso gioca nello Stoke City, i giocatori messicani vengono in Europa da tanti decenni. Ecco, la crescita del movimento Usa è anche figlia (e adesso forza trainante) della crescita complessiva proprio della Concacaf come federazione internazionale, passata da essere una sorta di “insieme dei vassalli calcistici” del Messico ad affermarsi come realtà che può vantare ormai diverse tradizioni calcistiche di un certo livello, tra cui spiccano appunto Usa, Honduras e Costa Rica.
È ancora presto per dire se le squadre centro e nordamericane faranno benissimo in Brasile, per ora si sono limitate a iniziare piuttosto bene e un posto negli ottavi è già ipotecato. Varrà però certamente la pena seguire con attenzione queste (ex?) cenerentole del calcio mondiale: Costa Rica e Messico un paio di sgambetti li hanno già messi a segno e sarebbe bello se qualcun altro potesse “inciampare”. Magari una Nazionale con un bel blasone importante.
D’altra parte «Più sono grossi, più rumore fanno quando cadono» (motto che la solita Costa Rica pare aver assunto a leit motiv del suo Mondiale). E chissà che quel “rumore” non si trasformi in “clamore” per una rappresentativa Concacaf.