Alla fine, cambia tutto perché non cambi nulla: via una siciliana, una toscana e un’emiliana, dentro una siciliana, una toscana e una romagnola. Alla fine, bisogna dirlo: è finita. È finita l’epopea della Spagna pigliatutto, ed è finita anche la nostra Serie B. È una storia che vale la pena raccontare.
Da una parte, un parvenu, accomodatosi alla cena dei nobili con la beata sfacciataggine di chi non ha niente da perdere. Dall’altra, una squadra che ha un passato recente in massima serie, se pure non si tratta di una nobile decaduta. In palio c’è il palcoscenico più importante, e c’è spazio per una sola.
È un’altalena di emozioni: il Latina, per continuare a coltivare il sogno del doppio salto, deve assolutamente vincere; il Cesena, pur forte di una condizione fisica straripante, potrebbe anche accontentarsi di un pareggio, grazie alla vittoria nella partita di andata.
Il Latina sa di dover fare la partita, e inizialmente ci riesce: al 13′ il vantaggio di Bruno manda in visibilio il Francioni. La palla torna quindi al Cesena, condannato almeno al pareggio, eppure gli uomini di Bisoli non si scompongono troppo: sanno che devono fare la partita, ma le accelerazioni sono ben ponderate.
La soddisfazione romagnola infatti arriva solo al sesto minuto della ripresa: Marilungo millimetrico per Defrel, Iacobucci niente può, e di nuovo pallino in mano al Latina, mentre Bisoli chiama i suoi alla ritirata strategica. Pontini che costruiscono e fanno la partita, ma probabilmente non ne hanno più (al punto che Jonathas, stella dei nerazzurri, al 33′ svirgola il possibile nuovo vantaggio).
E di lì in avanti è assedio: il Cesena è accerchiato, ma non capitola, e ne esce vincitore (anche sul campo: rigore di Cascione nel recupero). Bisoli piange in campo: specialista, nel senso che tutti i suoi successi da allenatore sono avvenuti sulla panchina cesenate. Anzi: tra 2008 e 2009 ha compiuto proprio il risultato che ieri ha negato al Latina, cioè il doppio salto dalla Lega Pro alla Serie A.
Spesso, troppo spesso, assistiamo a vere e proprie esagerazioni, figlie della cronaca. Ogni storia va raccontata, al punto da… crearla. Può darsi che quanto abbiamo visto in chiusura di questa Serie B non sia destinato a entrare negli annali del calcio, forse anche per la pochezza tecnica del movimento calcistico nostrano, nelle ultime stagioni.
Ma forse, al termine di una stagione estenuante (e da accorciare: più qualità, meno quantità), abbiamo qualche spunto da far fruttare. L’entusiasmo di un tecnico ancora giovane, e che in Serie A non ha mai raccolto; oppure l’entusiasmo di una piazza come Latina.
Pensiamoci bene: tanto del nostro calcio passa per la provincia, per lo sport vissuto a latitudini nuove e inattese. Anche quando dietro ci sono soldi buoni (penso al ChievoVerona e alla Paluani, o al Sassuolo di Squinzi), il tifoso nostrano vive di entusiasmo a tutte le latitudini. Non è un evento tipicamente italiano (anche in Inghilterra c’è una cosa del genere), ma è da noi, paese dei campanili, che tutto questo assume un sapore diverso.
Forse, alla fine, la Serie B di quest’anno ci ha detto quanto segue: che il livello tecnico può essere anche basso, ma il tifoso è ancora lì. Ed è da lì che dobbiamo ripartire: senza farci comandare dagli umori della pancia, bensì cercando di rispettare la convinzione di chi, anche a metà giugno, è ancora una volta allo stadio ad applaudire.