Tra tiki-taka e ripartenze, cercando un fantasista

Al termine della prima giornata, il Mondiale ha dato le prime indicazioni. Lo scontro tattico è ancora tra i palleggiatori del possesso palla, più o meno orientato al tiki-taka e le squadre organizzate intorno alla transizioni offensive in fase di ripartenza. Quel che stupisce, è che tra le prime, troviamo l’Italia, che ha organizzato il proprio gioco intorno a due numeri dieci, Verratti e Pirlo, abili nella gestione del pallone e nello smistamento organizzativo. Le statistiche sui passaggi riusciti agli azzurri sono impressionanti, s’aggirano intorno al 90% e trovano in Pirlo il Michelangelo del fraseggio disegnato. Alle sovrapposizioni di Darmian e Candreva o agli inserimenti di Marchisio, il compito di scardinare le difese schierate. Ovviamente, salvo ricorrere negli ultimi venti minuti al puro contropiede – in modalità Immobile contro tutti – piuttosto che in forma di folata rugbistica.
Tra le squadre incentrate sulla ripartenza organizzata invece, altrettanto a sorpresa, troviamo l’Olanda, schierata con una difesa a tre e pronta a lanciare Robben e Van Persie negli spazi.

Se nel confronto diretto con la Spagna, l’Olanda ha segnato un punto eclatante a sfavore del tiki – taka, le prestazioni di Italia, Colombia (dell’ottimo regista Rodriguez), Cile e Messico hanno dimostrato che, soprattutto a queste latitudini, il calcio palleggiato può ancora dire molto. D’altra parte, laddove il centrocampo ha dimostrato di avere lacune di impostazione, come nel caso dell’Uruguay, i risultati ne hanno risentito. E anche Brasile e Argentina, pur se con meno problemi dell’Uruguay, non hanno incantato, mostrando limiti in cabina di regia.

L’impressione è che su ambedue gli scacchieri di gioco, manchi qualcosa. Un tocco d’artista, un gesto che sappia sparigliare le carte. Un lampo da numero dieci. Un dieci come non ne esistono, più, non una punta né un “falso nove”, non un esterno alto, né un regista prestato al fronte d’attacco.

Sugli spalti la fantasia non manca. Gradinate puntellate a macchie di colore come tele impressioniste che riverberano le maglie in campo. E così le stesse maglie, in reinterpretazione grafica di prima, seconda e terza versione. Perfino le calzature dei giocatori danno libero sfogo all’estro creativo, al punto che il tradizionale scarpino nero ormai lo indossa solo l’arbitro, quasi a manifestare la sua fedeltà al versante regolamentare piuttosto che a quello ludico. La fantasia dei giornalisti, che hanno imparato a raccontare le partite attingendo all’aneddotica del web e aggiungendo un pizzico di ironia (secondo un’impressione diffusa tra chi ha ascoltato i radiocronisti Rai). O la fantasia dei commenti condivisi nei giorni seguenti. E’ sulla trequarti di campo che qualcosa non scatta.

Né Baggio, né Maradona, né Zico. Né Stoichkov, né Hagi, né Savicevic. Né Laudrup, né Francescoli, né Gascoigne. O Zidane. Quelli che saltavano l’uomo per vie centrali, incaricandosi personalmente di accompagnare il pallone in porta o di servire l’assist da sospingere dentro. Ma chi più chi meno, ogni squadra aveva il proprio “Maradona” locale, fino a qualche tempo fa. Tutti nomi su cui è calato uno strato di polvere. Al potere, la fantasia alla fine non ci è andata più.

Anche se un giocatore con tali caratteristiche, volendo anche somatiche, ci sarebbe ancora. Siede sulla panchina azzurra, ed è cresciuto a Bari Vecchia. Sempre che Prandelli abbia voglia di scioglierlo. Antonio Cassano, l’ultimo fantasista.

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Paolo Chichierchia