Il Milan e la desueta ostentazione di un mecenatismo virtuale
Ci siamo: dopo un lunghissimo tira e molla sulla panchina del Milan finisce Filippo Inzaghi. Il giovane allenatore, ex guida della Primavera rossonera, viene promosso titolare della cattedra in prima squadra.
Contestualmente, e inevitabilmente, viene ufficializzato l’esonero di Clarence Seedorf, l’allenatore arrivato per risollevare le sorti del Milan nel girone di ritorno della stagione 2013/2014. Fin qui nulla di strano, né di sorprendente, tanto più che questo avvicendamento ormai era diventato un altro dei “segreti di Pulcinella” cui il nostro calcio è avvezzo.
Senza entrare nel merito della scelta di Inzaghi e dei risultati che il Milan potrà, potenzialmente, ottenere di qui in avanti, vogliamo soffermarci sulla stridente discrasia tra i fatti e le manifestazioni esterne a mezzo stampa formulate da parte della società rossonera.
Facciamo un passo indietro: era la fine del girone di andata dello scorso campionato quando il Milan richiamava a sé dal Brasile, in fretta e furia, il figliol prodigo Clarence Seedorf (che ai tempi giocava con soddisfazione, nonostante l’età ormai avanzata, nel Botafogo).
Così l’olandese appendeva gli scarpini al chiodo e accettava, con entusiasmo, l’incarico di giovane allenatore. Seedorf, con la sua personalità e i suoi metodi moderni, avrebbe dovuto migliorare le prestazioni del Milan sino al termine della stagione e porre, contestualmente, le basi per il rilancio nelle due annate successive (il contratto sottoscritto era, per l’appunto, di due anni e mezzo).
Il resto della storia lo conosciamo: Seedorf che ottiene risultati più che dignitosi, lo spogliatoio che, nonostante ciò, non si è più ricompattato, la manifestazione di una (già nota) personalità forte dell’olandese, per sua sfortuna mal tollerata da parte della società assieme qualche fisiologico errore di inesperienza da parte del tecnico (vuoi sul piano tattico, vuoi su quello mediatico).
Si arriva al divorzio annunciato, scontato, niente affatto sorprendente e, peraltro, caricato con toni che potevano (dovevano) essere più pacati direttamente dal presidente della società che, prima che fosse ufficializzato l’esonero, punzecchiava con battute di dubbio gusto Seedorf e ne anticipava l’avvicendamento, parlando già di strategie in funzione del nuovo allenatore.
Tutto legittimo, tutto in linea con una personalità accentratrice quale quella del presidente del Milan e con uno stile di comando da mecenate d’altri tempi…appunto, d’altri tempi: perché se la società avesse potuto permettersi comportamenti fattivi in linea con i toni delle parole pronunciate, non avrebbe atteso sino a oggi per ufficializzare l’avvicendamento.
Invece si è atteso, si è trattato, si è cercato di risparmiare transando con Seedorf per rimediare a un evidente errore di valutazione (a prescindere da chi abbia più colpe, è innegabile che offrire a Seedorf un contratto di due anni e mezzo, a cifre estremamente rilevanti, sia stato un errore evidente, alla luce di come è finita).
Si è ostentato, verbalmente, un potere che alla prova dei fatti non c’era: si è amplificata questa discrasia ingaggiando Inzaghi, un allenatore emergente, economico e, per forza di cose, aziendalista. Si è rilanciato ancora con dichiarazioni su un futuro nell’ottica di un Milan di giovani (e immancabili parametri zero). E allora ci chiediamo con fare retorico: non era forse meglio cambiare allenatore e tenere toni più bassi?
A nostro avviso i risultati di Seedorf sono stati assolutamente in linea con le aspettative, tanto più che l’olandese ereditava una situazione disastrosa che aveva condotto all’esonero di Allegri; l’ex Botafogo ha certamente compiuto degli errori, ma aveva contestualmente mostrato di avere idee chiare, un carattere forte (forse troppo, per i gusti della società) e il supporto di risultati che hanno portato il Milan a giocarsi l’accesso in Europa sino all’ultima giornata.
Riteniamo condivisibile la scelta di convertire la politica societaria verso la valorizzazione dei giovani e verso una sostenibilità economica della gestione che sia finalmente virtuosa. Auspichiamo che la scelta di Inzaghi possa costituire il primo passo verso una svolta in tal senso, che porti nel nostro calcio un modello efficiente, ma riteniamo, allo stesso modo, che la svolta debba abbracciare tutte le componenti del Milan, per evitare, in futuro, di mostrare muscoli che nel tempo hanno perso tono per improntare, finalmente, la comunicazione esterna nella direzione di uno stile sobrio, in linea con la nuova linea aziendale.
Ci chiediamo però se la scelta di Inzaghi al posto di Seedorf non sia, invece, conservativa più che rivoluzionaria: assecondare la linea dell’olandese avrebbe portato a una profonda riorganizzazione strutturale cui si sarebbe dovuta adattare anche la società, mentre l’allenatore italiano terrà, presumibilmente, un comportamento più conforme alla storia rossonera per quanto riguarda rapporti tra allenatore e dirigenza.
Sta di fatto che, forse, il freddo comunicato con il quale, poco fa, il Milan ha ufficializzato il cambio della guardia, non appaia esattamente di buon auspicio per il futuro:
“AC Milan comunica di avere esonerato l’allenatore Clarence Seedorf e di avere affidato la Prima Squadra, fino al 30 Giugno 2016, a Filippo Inzaghi”.