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L’aver rivisto di recente la trilogia di Matrix — enorme film dei fratelli Wachowski di fine anni novanta e inizio duemila — tutta di seguito ha sicuramente influenzato le mie idee, a partire dalla scelta del titolo, a riguardo di questo editoriale.

Le sette ore durante le quali sono stato attaccato al televisore tra combattimenti, camminate sui muri, codici di programmazione, signori Anderson e agenti Smith, unite alla tipica tensione che si prova con l’avvicinarsi di un evento come i Mondiali, mi hanno catapultato in una fase onirica in cui le battaglie tra Keanu Reeves (Neo) e Hugo Weaving (Smith) erano in realtà combattute da Materazzi e Zidane.
Direi bene, ma non benissimo.

Il mio risveglio, oltre a lasciarmi in eredità la convinzione di non ripetere mai più una maratona televisiva del genere, ha poi contribuito alla ricostruzione, questa volta consapevole, del viaggio inconscio fatto nelle notte. E sono arrivato a queste conclusioni.
La nostra Italia — quella calcistica, s’intende — è come Zion, la città degli ultimi esseri umani ancora liberi, perennemente in attesa dell’arrivo dell’Eletto. La FIFA è la sorgente, ciò da cui tutto deriva, e tutti i suoi componenti sono le macchine, ossia programmi di controllo, che come unico scopo hanno quello di fare andare il mondo secondo regole predefinite, senza possibilità di errore.
La FIFA, oltre che dei suoi componenti, si serve anche di agenti speciali, diversi dagli altri, messi dentro Matrix per fare in modo che tutto vada secondo i programmi. Questi agenti, nel corso della storia, sono stati i vari Pelé, Cruijff, Beckenbauer, Maradona, Ronaldo, Zidane: giocatori non umani, troppo più forti degli altri per poter competere con loro. Il loro compito è quello di battere i comuni mortali e dividersi, di volta in volta, la Coppa del Mondo.

Ma, così come ci insegna il film, da questo programma perfetto nasce un’anomalia ciclica, un condottiero inaspettato che per un breve periodo di tempo riesce a battere gli agenti di controllo, le macchine e il sistema, riuscendo ad arrivare alla Sorgente e a conquistare la vittoria fuori dagli schemi soliti e preventivati.

Marco Materazzi nel 2006 è diventato l’Eletto: un condottiero totalmente inaspettato, un imprevisto, un incidente di percorso nella ineluttabilità del mondo del calcio, che viaggiava spedito sui binari di Zidane. Ha risposto al contrattacco, ha sfidato l’Invincibile, ha guidato i suoi compagni e, alla fine, l’ha battuto facendosi mettere al tappeto. Proprio come il nostro sig. Anderson fa con l’agente Smith alla fine del terzo capitolo della storia.

E allora, perché perdere la speranza? Perché non sperare che in Brasile durante questi mondiali nasca un nuovo Eletto? E che riesca a sconfiggere le terribili armate troppo più forti di noi guidate dai vari Neymar, Iniesta, Messi e Ronaldo?
Tutto è possibile, anche che nei nostri 23 azzurri ci sia un nuovo Materazzi. Un nuovo Matrix. Matrix reloaded.