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C’era un Mondiale: Inghilterra 1966, la parabola della Corea e la stella di Eusebio nella Swinging London

A distanza di cento anni dall’istituzione della Football Association – avvenuta nel 1863 presso la Free Masons Tavern sulla Great Queen Street – la Fifa ritenne opportuno concedere l’organizzazione del mondiale all’Inghilterra. Alla spinta celebrativa si aggiungeva anche l’influenza politica del Presidente Stanley Rous e la voglia della nazione che aveva inventato il calcio di riuscire finalmente ad imporre anche nella competizione di maggior rilievo internazionale la propria tradizione calcistica. Dalla rottura dello splendido isolamento avvenuta nel 1950 – quando un gol dello statunitense Gaetjens fece sprofondare l’isola nell’incubo calcistico – fino a quel momento, le partecipazioni dei maestri albionici alla competizione non avevano certamente reso merito al blasone vantato.

Il clima in cui si svolse il Mondiale fu senz’altro particolare. Nell’Inghilterra del 1966 stava avvenendo un epocale cambiamento. I giovani e i loro padri iniziavano a parlare lingue diverse. Le gerarchie tradizionali venivano messe in discussione, il principio di autorità scopriva il confronto con la ribellione generazionale. Ad agosto i Beatles pubblicarono “Revolver” – il loro settimo album, quello di Eleanor Rigby e Yellow Submarine – mentre ad aprile i Rolling Stones lanciarono “Aftermath”, l’album di Lady Jane e Under My Thumb. Nel costume, la minigonna di Mary Quant indossata dalla modella Twiggy, aveva rivoluzionato i canoni estetici del pudore sociale.

Anche il calcio aveva bisogno di trovare i propri miti, da aggiungere alle nuove icone della Swinging London.

L’Inghilterra si presentò con una squadra molto competitiva. Tra tutti, spiccava la mezzala Robert Charlton, sopravissuto al tragico rogo di Monaco che nel ’58 aveva provocato la scomparsa del Manchester United e dei suoi campioni. Insieme a “Bobby” Charlton, il portiere Banks, che si produsse contro Pelé in quella che per molti fu la più bella parata di sempre. Con loro Jack Charlton, difensore arcigno e fortissimo nel gioco aereo e Geoffrey Hurst, attaccante che nella finale contro la Germania Ovest fu autore del gol fantasma più discusso della storia. Presente in rosa anche Greaves, stella del campionato inglese e tuttavia ai margini della squadra. L’allenatore era Alf Ramsey, uno che da calciatore aveva preso parte alla famigerata disfatta del 1950 contro gli Usa. Fautore di un calcio tradizionale, come un novello Churchill promise ai calciatori inglesi lacrime e sangue, in cambio della vittoria finale. Riuscì a mantenere la promessa.

Prima dell’avvio del Mondiale però, avvenne un fatto di cronaca insolito. Durante un’esposizione la Coppa Rimet venne trafugata da ignoti. Fu un bastardino di nome Pickles a ritrovarla mesi dopo, grazie al suo fiuto, avvolta nella carta di giornale. La federazione inglese nel frattempo aveva provveduto a forgiarne una copia, oggi conservata nel museo nazionale del calcio.

Una delle partite simboliche della competizione, soprattutto per gli azzurri, fu l’epocale sconfitta contro la Corea del Nord. Presentati dal Ct azzurro Valcareggi come “una squadra di Ridolini”, l’Italia che poteva contare su Rivera, Riva, Mazzola, Albertosi e Bulgarelli perse per 1-0, subendo la rete di Pak Doo Ik – che la stampa nazionale, a torto, indicò come un dentista prestato al calcio nel dopolavoro. Una delle conseguenze più rilevanti di quella disfatta contro la Corea, talmente bruciante da diventare poi colloquialmente un’allegoria della vergogna, fu la chiusura delle frontiere italiane ai giocatori stranieri, durata fino al 1980.

E’ invece meno noto il fatto che quella vittoria fu molto dolorosa soprattutto per i giocatori coreani, almeno stando alle ricostruzioni circolate anni dopo. I festeggiamenti successivi infatti, videro i giocatori asiatici protagonisti di serate lascive nei club inglesi e furono poco apprezzati dal dittatore coreano Kim Il Sung, che ravvisò nel comportamento dei propri giocatori un cedimento alle mollezze occidentali. Dopo il ritorno a Pyongyang la loro condotta fu bollata come “borghese, reazionaria e guastata dall’imperialismo” e furono spediti per delle sedute rieducative nei gulag coreani, tutti tranne Pak Doo Ik che per problemi fisici non prese parte ai festeggiamenti. Il più sfortunato di loro, Park Seung-Zin fu mandato a Yodok, il più temibile tra i campi di lavoro. Lì, si rese colpevole di insubordinazione e furto. Non ne uscì più. Negli anni ’80 venne riconosciuto da un altro detenuto, poi fuggito all’estero, Kang Chol-Hwan: viveva in cella di isolamento e veniva soprannominato “scarafaggio” poiché sopravviveva nutrendosi di insetti (fonte “L’ultimo gulag”, di Kang Chol-Hwan – Pierre Rigoulot, Edizioni Mondadori).

Tuttavia va detto che nel 2002, il regista inglese Daniel Gordon ha smentito questa ricostruzione nel documentario “The game of their lives”, rintracciando sette giocatori coreani – incluso “scarafaggio” Park Seung-Zin (che fu presentato come un allenatore) – e facendoli vedere in buone condizioni di salute. Furono esibiti anche filmati d’epoca che mostravano come i giocatori nordcoreani fossero stati accolti festosamente al loro rientro, quali eroi nazionali. Ciononostante, i dubbi su quanto sia vero, quanto aggiustato in seguito allo scandalo emerso e quanto suggerito dal regime non furono del tutto dissipati, visto che dei restanti giocatori non rintracciati non fu possibile aver notizie.

Dopo la vittoria contro l’Italia, la Corea incontrò il Portogallo della stella Eusebio, a Liverpool, sospinta da un pubblico simpatizzante che intonava il coro “Corea cha cha cha”. In vantaggio di tre gol, la Corea perse per 5-3. A capovolgere le sorti dell’incontro, un poker di Eusebio, arrotondato poi da Torres.

Di quel Portogallo debuttante ai mondiali, Eusebio fu la stella assoluta. Considerato all’epoca la risposta europea a Pelé, il giocatore di origine mozambicana in quegli anni vinse tutto: Coppa dei Campioni con il Benfica, Pallone d’oro e Scarpa d’oro a livello individuale. Dribbling irresistibile, velocissimo ma dotato di movenze sinuose (da cui il nomignolo “pantera nera”), gran senso del gol; fu lanciato nel suo club da Bela Guttmann che lo soffiò allo Sporting Lisbona andandolo a prelevare sotto la scaletta dell’aereo proveniente dal Mozambico. In Inghilterra, Eusebio si impose al mondo come miglior realizzatore della competizione con 9 reti.

Grazie ai suoi gol, il Portogallo arrivò fino alla semifinale contro i padroni di casa dell’Inghilterra, rifilando nel proprio girone anche un 3-1 al Brasile di Pelé e Garrincha.

Per limitare Eusebio, fu necessaria una marcatura spietata del centrale “Nobby” Stiles. In confronto, quella di Gentile su Maradona nell’82 fu uno cerimonioso scambio di cortesie. Vinse l’Inghilterra per 2-1, grazie ad una doppietta di Bobby Charlton. Eusebio mise comunque a segno la rete della bandiera, su rigore. Fu sempre Eusebio a trascinare il Portogallo a conquistare comunque uno storico terzo posto finale. Al fuoriclasse assoluto portoghese, recentemente scomparso, Cristiano Ronaldo ha dedicato la vittoria del Pallone D’Oro.

Gli inventori del calcio riuscirono a sollevare la coppa, battendo in finale la Germania Ovest per 4-2. Tuttavia, su quella partita pesa l’ombra di uno dei più gravi errori arbitrali di sempre: sul risultato di 2-2 fu concessa una rete all’attaccante Hurst, autore di una girata sulla traversa con rimbalzo dubbio. Le moviole avrebbero confermato quanto apparso all’occhio umano: la palla non aveva varcato per intero la linea.

Anche su questo episodio, a posteriori non mancarono i retroscena ambigui. Secondo le rivelazioni di un ex arbitro, Nikolai Latyshew, il guardalinee russo Bakramow, che convalidò il gol, aveva corrotto un designatore malese con due scatole di pregiato caviale beluga, pur di esser prescelto per la finale. Rimane ignoto se Bakramow volesse danneggiare la Germania Ovest per fini politici, per rivalsa verso l’eliminazione dell’URSS avvenuta in semifinale o perché in passato aveva combattuto con l’Armata Rossa contro la Germania.
La rete fu convalidata, Hurst poi completò la tripletta.

Finiva così, con la consegna della Coppa del Mondo al capitano inglese Moore da parte della Regina Elisabetta II un mondiale cominciato con il furto del trofeo, proseguito con le avventure di Corea e Portogallo e terminato con un gol fantasma. Un mondiale inglese, neanche a farlo apposta, in stile Hitchcock.

Di seguito il tabellino di Inghilterra – Portogallo:

26.07.66 ore19.30 – London, Wembley Stadium

INGHILTERRA – PORTOGALLO 2:1 (1:0)

INGHILTERRA: Banks – Cohen, Wilson, Stiles, J.Charlton – Moore (c), Ball, R.Charlton – Hurst, Hunt, Peters.

PORTOGALLO: J.Pereira – Festa, Baptista, Carlos, Hilario – Graca, Coluna (c), Augusto – Eusebio, Torres, Simóes.

Arbitro: Schwinte FRA

Marcatori: 30’ R.Charlton, 79’ R.Charlton, 82’ Eusebio (r)

Qui, il video della gara

Leggi anche le precedenti puntate di “C’era un Mondiale”:

1 Camerun – Colombia e i colori di Italia 90;
2 Uruguay 1930 e il primo gol della Coppa del Mondo;
3 Corea e Giappone 2002, un mondiale di… cose turche;
4 Germania 1974, “E tu dov’eri, quando segnò Sparwasser?”;
5 Italia 1934, il “Wunderteam” austriaco si arrende agli azzurri;
6 Cile 1962, il torneo di Garrincha. E di Masopust;
7 Francia 1938, la semifinale di Marsiglia e il bis dell’Italia;
8 Messico ’70, Italia-Germania 4-3 – “El partido del siglo”;
9 Argentina 1978, Olanda-Argentina e il palo che fece tremare i generali;
10 Brasile 1950, il Miracolo di Belo Horizonte. Gloria e tragedia di “Joe” Gaetjens;
11 Messico ’86, la breve favola della Danimarca;
12 Svizzera 1954, la battaglia di Berna e la Grande Ungheria, prima della disfatta;
13 Spagna 1982, la notte di Siviglia e l’uscita di Schumacher su Battiston;
14 Francia ’98, la sfida tra Zidane e Ronaldo e Usa-Iran, “la madre di tutte le partite”;
15 Svezia 1958, Pelé alla conquista del mondo;
16 Germania 2006, il ritorno di Zidane e la marcia della Francia.