Il cuore di Cerella
La settimana scorsa ho deciso di chiudere l’editoriale facendo riferimento all’emblema dei San Antonio Spurs, cioè Duncan, Ginobili e Parker. Non che Popovich sia estraneo all’aver creato una delle più devastanti macchine da basket dell’era moderna, ma quei tre giocatori per talento, dedizione e propensione all’esecuzione sono semplicemente a un livello superiore rispetto a tutti. Popovich parla poco, sorride ancora meno, ma quando serve lo fa con precisione e attenzione chirurgica: “I giocatori che ho il privilegio di allenare mi stupiscono ogni giorno per il modo in cui mi permettono di allenarli“. Tra poco scenderanno in campo per disputare gara 4, la partita che può cambiare il destino della serie contro Oklahoma City; in caso di vittoria neroargento, difficile che i Thunder riescano a vincere le restanti tre partite, di cui due fuori casa, ma se dovesse trionfare la squadra di Durant, a quel punto, i giochi sarebbero nuovamente aperti.
Chi invece ha già giocato la sua partita decisiva, ieri sera al Forum di Assago, è un certo Bruno Cerella. Uno che con Ginobili, apparentemente, condivide soltanto la nazionalità: il gaucho argentino, nonostante sia modesto tecnicamente e sotto la media anche dal punto di vista atletico, riesce puntualmente a infiammare il pubblico dell’Olimpia Milano con giocate d’intensità pazzesca. E chi segue la pallacanestro sa che giocare bene in difesa, recuperare palloni e creare quelli che negli Stati Uniti definirebbero “stops”, rende più facile anche metterla nel cesto: è quello che successo a Cerella ieri, che con due triple pesanti come un macigno ha definitivamente chiuso la pratica Pistoia, una squadra a cui vanno fatti solamente i complimenti per come è stato costruita, per come è stata supportata dai propri tifosi e soprattutto per come è allenata da Paolo Moretti. Milano ha vinto meritatamente, ha sofferto ma poi è venuta fuori grazie alla maggiore fisicità e al talento sconfinato di Langford, fondamentale quando i compagni non sapevano effettivamente cosa farsene del pallone: uno così è sempre meglio averlo dalla propria parte.
Dopo la vittoria contro Venezia, nel girone di ritorno della stagione regolare, Banchi aveva chiesto ai suoi ragazzi di tornare a essere una squadra operaia; e l’Olimpia ha risposto sul campo, spegnendosi poi nelle due trasferte toscane e mostrando una superficialità che l’ha portata a buttare via vantaggi in doppia cifra a fine primo tempo. Quella superficialità si stava ripresentando questa sera, quando Wanamaker e Gibson stavano riportando sotto Pistoia con alcune triple da infarto; in quell’istante, però, il cuore di chi non si risparmia mai ha avuto la meglio, e Cerella ha difeso come meglio sa fare, recuperando un pallone importantissimo e piazzando le due bombe che hanno permesso a Banchi di iniziare a pensare a Sassari.
Non sono mai stato un bravo giocatore, ma in campo ho sempre cercare di dare il massimo per me e, soprattutto, per la mia squadra: sarà per questo motivo che, Cerella, suscita in me questo sentimento di gioia ogni volta che compie una giocata decisiva. E i tifosi di Milano, evidentemente, non devono pensarla tanto diversamente, considerate le standing ovation che gli regalano ogniqualvolta rientra in panchina.
Non ho idea se soltanto con la grinta e l’orgoglio sia possibile fermare Drake Diener, ma sicuramente quello è un buon punto di partenza. Sempre considerando che, l’americano, se vuole può vincere tranquillamente da solo una partita; per questo motivo, da venerdì, c’è un motivo in più per guardare il basket nostrano in televisione. O perché no, riempire uno dei quattro palazzetti che saranno coinvolti in queste semifinali e spingere i propri colori al successo. E in ogni squadra c’è bisogno sia di gente talentuosa come Diener, sia di individui volti al sacrificio alla Cerella; noi possiamo solamente accomodarci e goderci lo spettacolo. Non sarà l’NBA, ma è pur sempre pallacanestro.