Si è abusato a sufficienza del detto “Hai voluto tu la bicicletta, adesso pedala” (fino al ritornello di Frankie Hi-Nrg a Sanremo, città che peraltro col ciclismo qualche legame ce l’ha tutto). Ma in questo caso dobbiamo piuttosto appellarci non alle intenzioni, quanto al meteo: il rischio è che domani il tappone del Giro d’Italia possa saltare.
Tre gran premi della montagna di prima categoria e un percorso che, pur relativamente breve (139 chilometri), non lascia spazio per respirare; forse l’unico tratto “sereno” ci sarà dopo la discesa dello Stelvio, per una decina di chilometri di relativa pianura prima del traguardo volante di Lasa; il resto è un continuo, incessante saliscendi. Gavia, Stelvio (cima Coppi) e infine la salita fino a Martelltal (in italiano Val Martello). Brescia, Sondrio, Bolzano: sullo Stelvio avremo un tratto anche al 12%, e negli ultimi 3 chilometri di tappa anche al 14%.
Sempre se il meteo, appunto, non ci metterà del suo: è prevista pioggia lungo il percorso, e le temperature potrebbero non essere delle più favorevoli. Giova ricordarlo: è la tappa che un anno fa fu annullata proprio per neve. Aspettiamo ancora di poterla vedere.
Ma soprattutto aspettiamo di vedere di nuovo all’opera Fabio Aru, reduce dall’impresa di domenica in quel di Plan di Montecampione, la classifica lo vede quarto, a 2’24” dal capolista Uran. La sensazione è che la gamba per l’impresa ci sia, ma sarà tutt’altro che semplice ripetersi a così breve distanza.
Qualcuno potrebbe pensare: se ce la fa, vuol dire che è un predestinato. Magari è anche vero; ma a me piace pensare a qualcosa di più “normale”. Malgrado una vecchia volpe come Evans sia lì a giocarsi la vittoria finale, in maglia rosa c’è Urán (nato nel 1987); a far doppietta all’inizio è stato Kittel (1988) in maglia rosa abbiamo avuto per molti giorni Matthews, classe 1990 come lo stesso Aru; di un solo anno più vecchi sono Ulissi e Battaglin, vincitori di tappe.
In altre parole: vero che Aru ha vinto sulla salita di Pantani, vero che ha timbrato il primo cartellino in una tappa al Giro. Ma non penso che sia giusto dare la maglia di “nuovo Pantani” in giro, ecco. Probabilmente, peraltro, è più un peso che altro. Siamo di fronte a un ricambio generazionale, credo: un passaggio di consegne tra la generazione dei Basso e quella di nuovi corridori.
Passaggio di consegne spontaneo, o forse casuale: Scarponi “ferito” a Montecassino, e la ragion di squadra vuole che il principale aiuto in salita debba diventare l’uomo di classifica. Per ora, con risultati non malvagi: al netto dell’inesperienza (per la quale lo stesso Scarponi si sta rivelando importante: lo si è visto quando Aru ha forato, giorni fa), per adesso il giovane sardo tiene ed è in piena lotta per il podio.
Si spera che quello del corridore sardo, domenica, sia stato soltanto il primo di una serie di gioielli. È giovane, e si dice che bisogni dare spazio ai giovani; o perlomeno a quelli che lo meritano. Su quella stessa salita, il 4 giugno 1998 Pantani aveva staccato Tonkov e il biglietto per il suo primo giro.
L’arrivo era a Plan di Montecampione: un nome e un destino, per Pantani. Ma non sta bene rileggere sempre tutto sotto la lente del passato. Fabio Aru ha vinto nel 2014: non sarà il secondo Pantani, perché deve essere il primo se stesso.