Al gol di Godín un brivido freddo ha sicuramente attraversato la schiena di Ancelotti. Uno di quei brividi figli del pensiero “no, non un’altra finale persa da favoriti”.
L’occasione sciupata da Bale poteva essere un sentore, in effetti; il pressing asfissiante dell’Atlético la conferma: “Questa coppa mi sta sfuggendo dalle mani”.
E allora il pensiero va lì, a quel 25 maggio 2005. È inevitabile. Quella coppa persa nella partita più incredibile che si ricordi in una finale di Coppa Campioni/Champions League. Difficile anche da spiegare, figuriamoci ricordarla con lucidità.
Ma il veloce scorrere del tempo, i biancorossi che sembrano quindici o venti in mezzo al campo e la scarsa vena dei suoi campioni lo riportano lì, a quel giorno che invece avrebbe voluto semplicemente accantonare in un angolo della memoria per non ritrovarlo più.
E, tra un dribbling sbagliato di Ronaldo e un passaggio fuori misura di Khedira, ripassare gli ultimi dieci mesi diventa quasi naturale. Se lo ricorda, Carletto, quel primo giorno di ritiro. Da lontano ha visto Xabi Alonso, gli si è avvicinato, l’ha preso in disparte e gli ha detto “tu hai un coppa che mi appartiene, me la devi rendere quest’anno”. E quel fantastico regista dalla barba rossa, in campo da avversario in quella finale di otto anni prima, ha sorriso e con un cenno della testa ha stretto un patto solenne con il suo nuovo mister: insieme per la “decima” del Real Madrid.
Al momento dell’ammonizione di Alonso, diffidato, nel ritorno della semifinale contro il Bayern Monaco Ancelotti è andato su tutte le furie. “Ma come, ma proprio tu? Tu dovevi portarmela, questa coppa!” – gli ha urlato.
E guardando le difficoltà di Khedira in mezzo al campo durante la finale avrà maledetto quello splendido regista che l’ha privato del faro della sua formidabile formazione. C’è stato un momento in cui nei suoi occhi è sembrato potersi leggere un “basta, è finita”.
Ma la storia a volte si ripete e il dio del calcio è beffardo, ma galantuomo: al minuto 93, con un Xabi Alonso ormai in lacrime con le mani in faccia seduto in tribuna, l’incornata di Sergio Ramos ha restituito ad Ancelotti quello che si era fatto sfuggire dalle mani nel 2005, mentre la cavalcata di Di María e il colpo di testa di Bale — oltre ai gol inutili di Marcelo e Ronaldo — hanno scritto nella storia ciò che ormai sembrava ineluttabile dopo il pareggio dell’ultimo secondo: dieci.
La disperazione, questa volta, è per gli altri. Già sicuri di aver portato a casa la prima storica Champions League, si sono ritrovati con lacrime sul viso e un pugno di mosche in mano.
Forse l’aver voluto sfidare il dio del pallone mandando in campo Diego Costa in condizioni impossibili è stato troppo anche per un semi-dio come Simeone.
Ma per lui non abbiamo dubbi: il calcio gli restituirà quello che gli ha tolto in questa incredibile finale. Dopo ogni Istanbul c’è un’Atene o una Lisbona.
Dopo la Lisbona di ieri sera, per lui ci sarà sicuramente una coppa dalle grandi orecchie da sollevare al cielo.