Dalla storia al mito

Poche ore ci separano da quello che, non fosse per il mondiale imminente, tenderemmo a considerare l’evento dell’anno. Nella sfida di Lisbona, le 2 principali squadre di Madrid combatteranno sino all’ultimo sangue per salire sul tetto d’Europa, scalzare il Bayern pigliatutto dell’anno scorso e, definitivamente, scrivere la storia.

Perché, comunque vada la partita, stasera la storia qualcuno la scriverà: il Real guarda alla décima e punta ad interrompere un digiuno continentale che dura dal 2002, l’Atlético questa coppa non l’ha mai vinta e farlo proprio contro i rivali cittadini di sempre avrebbe un sapore unico, incredibile.

Dovessero prevalere i Colchoneros, sarebbe la prima volta per un club fuori dal duopolio Barça-Real Madrid. Mica male, sguardo all’albo d’oro, riuscire dove caddero il Valencia (2000) o lo stesso Atlético (1074), per vincere anche quel luogo comune per cui in Spagna oltre al Clasico non c’è granché.

Non che, ad esser franchi, i ragazzi di Simeone ne abbiano bisogno: la cavalcata in campionato è stata lunga, tosta ma trionfale, con quel pareggio al Camp Nou che ha interrotto un attesta di 18 anni e soprattutto ha evitato una vita di rimpianti. Quando gli ricapita, abbiamo pensato molti e forse a torto, perché a prescindere da tutto se arrivi sino in fondo in Champions League non sei un fuoco di paglia, sei arrivato ma puoi benissimo ripartire, ricostruire, cementare: avere un allenatore così aiuta, è la prova che oltre al budget c’è di più e che tra le big europee ci si può infilare col lavoro, il carattere e il talento.

Dall’altra parte, la grande favorita, quel Real costruito a suon di milioni e sapientemente tenuto in piedi da Carlo Ancelotti, specialista di coppe con le grandi orecchie. Uno, per intenderci, che nel mondo è ricordato più per la Champions che per i campionati. Dovunque è andato, qualcosa ha vinto: aver guidato sempre delle fuoriserie non ne sminuisce i meriti, perché le macchie più potenti devi saperle guidare. Perché altrimenti è facile schiantarsi: Ronaldo e Bale vanno veloci per davvero e sono i cavalli di razza con cui puntare al bersaglio grosso. È in particolare per giocare partite così che il gallese ha lasciato White Hart Lane ed è giunto il momento di firmare un altro trionfo, dopo la prodezza in Coppa del Re.

Ma sarebbe stupido parlare di questa finale senza omaggiare il movimento calcistico spagnolo, sinceramente dominante a livello di club dopo 6 anni di implacabili successi nelle grandi competizioni internazionali: il ciclo aperto con l’Europeo 2008 e passato attraverso il trionfo iridato in Sudafrica e la conferma continentale del 2012 è ora arricchito dall’exploit delle squadre spagnole nei tornei della UEFA, dopo il ciclo lungo del Barcellona. In risposta a chi, a volte a ragione ma spesso e volentieri a torto e cavalcando vecchi luoghi comuni, ha sindacato sulla qualità della Liga come campionato, è arrivato il successo del Siviglia nella finale torinese dell’Europa League, a conferma dell’assoluta validità ed efficacia anche dei club immediatamente sotto i top team spagnoli, proprio nell’anno della rottura del monopolio di Barça e Real.

Avessimo dovuto farlo noi, che diciamo che “c’è anche un po’ di Italia” non appena un calciatore o un allenatore italiano prende parte ad un grande evento cui le nostre non sono state abbastanza brave da qualificarsi, saremmo ai deliri d’onnipotenza e alla festa nazionale. Dovessimo essere noi (doppi) campioni d’Europa e del Mondo, con due squadre in finale di Champions League e l’Europa League in cassaforte, ci gonfieremmo giustamente il petto: rendiamo omaggio allora a chi davvero quest’anno ha dato lezioni a tutti, a chi arriverà ai mondiali col favore del pronostico e forte di un movimento in piena salute.

Per un giorno, applaudiamo gli spagnoli. Poi aspettiamoli al varco di un mondiale che, dovesse vederli vincitori, li trasporterebbe dalla storia al mito. Per sempre.

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Matteo Portoghese