Correva l’anno 1982, e l’immenso Claudio Gentile diede una sonora lezione di calcio all’Argentina di Maradona, ai mondiali spagnoli. Gli azzurri si sarebbero poi laureati campioni. Terzo mondiale azzurro, Nando Martellini che esulta e ci fa esultare alla TV, piazze italiane in festa. Tutto molto bello. Tutto, forse, troppo bello se paragonato al calcio di adesso. “Football is not for ballerinas” è il nome con cui tutti ricordano la sfida epica “Gentile vs Maradona”: riguardatele quelle immagini. Al giorno d’oggi, il difensore azzurro non sarebbe durato più di venti minuti sul terreno di gioco. Cartellino rosso e via, doccia anticipata sicura, matematica come il 4 dopo il 2+2. A guardarle bene quelle immagini, lo stupore in effetti c’è: certe legnate, signori, che non avete idea.
Personalmente, sì: rimpiango un po’ il pallone fatto di sana cattiveria sportiva come quella là, anche se poi mi armo di buona coscienza e convengo che in effetti, in quel particolare caso, le legnate furono un po’ esagerate. Ma tant’è: Bearzot glielo impose, “non far muovere quello là, il dieci, che col pallone fa quello che vuole”, e Gentile eseguì. Bello, bellissimo, affascinante, tutti ricordano quei momenti, le proteste dell’albiceleste, il nervosismo del Pibe de oro.
Poi, passa il tempo, il calcio si trasforma. Gentile fa l’allenatore (vince gli Europei con l’under 21 italiana nel 2004), Maradona pure (va al mondiale sudafricano come ct dell’Argentina) il pallone diventa più atletico ma meno fisico. Ci accorgiamo che oggi è più difficile far prevalere il fattore tecnico se non hai due polmoni così a sorreggerti, ci rendiamo conto che questo pallone non gode più di ottima salute. Nel senso: l’accortezza nei particolari è enorme (gli strumenti di oggi ci consentirebbero di registrare anche quante volte batti le palpebre in cinque minuti), ma tutta questa accuratezza ha prodotto, a mio avviso, l’effetto contrario. Difficile da spiegarmi, ci provo in pochissime parole. È come se a furia di cercare la perfezione atletica, si avesse paura a metterla in mostra per evitare che qualcosa si danneggi. Prendiamo Lionel Messi: giocatore pazzesco. Quattro volte pallone d’oro. E’ il 2013: lanciatissimo, fenomeno puro, all’apice della sua carriera, si fa male e l’impressione è che… adesso, rientrato da quello stop e costretto a gestire le varie ricadute, non sia più quel Messi là. Già: infortuni a ripetizione (a inizio 2014, tre in quattro mesi), più o meno gravi, e fisico che non è più un orologio svizzero. Eh già, questo è il rischio che si corre a voler costruire macchine perfette: talmente perfette, che salta un fusibile ed eccolo qui il blackout.
Signori, siamo a fine maggio, ci apprestiamo a vivere un Mondiale che crediamo sia uno dei più belli di sempre. Si gioca in Brasile, dove il calcio è pura ragione di vita. Tante le pressioni politiche, tante le situazioni particolari da risolvere (favelas, povertà, corruzioni varie), di una cosa però siamo certi: ci sarà competitività. Non ci sarà, purtroppo, quella grinta, quell’agonismo, che contraddistingueva il calcio di trent’anni fa. Che era meno accurato, certo, e meno studiato, e meno attento ai particolari. Ma era sicuramente più vero.