La Roma di Rudi Garcia: come mettere d’accordo bel calcio e risultati

Rudi Garcia è, senza dubbio alcuno, l’artefice principale della resurrezione della Roma: il tecnico transalpino, nella stagione in corso, rappresenta il prototipo del manager virtuoso, scintilla che ha fatto detonare la produttività dei giallorossi.

Per comprendere al meglio la grandezza della stagione 2013/2014 della Roma è certamente opportuno compiere, previamente, alcuni passi indietro e rievocare, quantomeno, i risultati conseguiti (meglio: non conseguiti) in Serie A nelle due precedenti e disgraziate annate: un settimo posto nel 2011/2012 e un sesto posto nel 2012/2013 (stagione culminata, peraltro, con l’indelebile onta rappresentata dalla sconfitta subita nel derby, per mano della Lazio, in finale di Coppa Italia).

La stagione corrente della Roma è iniziata in salita, con una durissima contestazione da parte della tifoseria nel giorno del raduno precampionato. Da quella contestazione Garcia ha saputo trarre e trasmettere alla squadra le motivazioni giuste per dare il via a un campionato che si è chiuso con il secondo posto il classifica, un risultato che neanche i più ottimisti sostenitori giallorossi avrebbero osato pronosticare.

Ma la Roma di Rudi Garcia non è solo il portato di un’eccellente opera motivazionale, bensì anche dell’ottimizzazione tattica della fase difensiva.  Invero, la difesa ha rappresentato il principale tallone d’Achille nelle due precedenti annate, in generale, e di quella trascorsa (in larga parte) sotto la sciagurata guida di Zeman, in particolare. Garcia ha saputo rendere, in una sola stagione, la difesa dei giallorossi la seconda meno battuta del campionato.

Inoltre la Roma del tecnico francese ha messo in mostra una proficua fase offensiva, giocando un calcio totale che ha consentito ai giallorossi di trovarsi con il secondo miglior attacco del campionato. La manovra offensiva della Roma risulta veloce, avvolgente e spettacolare come non si vedeva dai tempi di Spalletti, mentre la fase difensiva è divenuta granitica, come non si vedeva dai tempi di Capello.

La cooperazione e lo spirito di sacrificio di giovani promesse e senatori rappresentano gli emblemi del ritrovato amalgama di un gruppo che in passato troppo spesso ha vacillato, trasportato da un’onda troppo impetuosa, agitata da un ambiente troppo volubile e troppo poco equilibrato.

Nonostante tutte le dovute considerazioni positive, con la stagione che volge ormai al termine, si raccolgono sì i frutti di una crescita esponenziale della squadra, ma non figura nessun nuovo trofeo in bacheca. È allora opportuno cercare di comprendere cosa sia mancato alla Roma per consentirle di scrivere la storia. I principali elementi sui quali riflettere appaiono essenzialmente tre, di cui il primo esterno e gli altri due interni:

  1. l’infausta (per i capitolini) presenza della Juventus, con la sua stagione da record (un passo che, invece, non seppe proporzionalmente tenere il Milan nella stagione della prima Juventus di Conte, la quale ricopriva, allora, il ruolo che compete oggi alla Roma: i punti di contatto tra quella Juventus e questa Roma appaiono molteplici);
  2. la scarsa profondità della rosa giallorossa rispetto a quella della Juventus;
  3. la mancanza di un’ultima, ma decisiva, svolta nella mentalità: le capacità imprenditoriali della società e l’internazionalità di un tecnico illuminato come Garcia dovranno ulteriormente contagiare in modo virtuoso la squadra e l’ambiente, non subirne i difetti; gli alibi troppo spesso tirati in ballo per giustificare le mancate vittorie non rendono giustizia allo straordinario lavoro svolto da tutto l’entourage giallorosso.

Di certo le basi gettate nella stagione che si sta per chiudere lasciano intravedere delle prospettive rosee per la Roma, purché riesca a portare a compimento l’evoluzione e la crescita iniziate quest’anno.