La domenica che non c’è più
La domenica è sempre stata il giorno del Signore (per chi ci crede), il giorno da dedicare alla famiglia, il giorno delle lunghe passeggiate, dei pranzi e delle abbuffate, delle telefonate ai vecchi amici. Ma è stata, da sempre, la consacrazione del campionato di calcio, qualsiasi esso fosse, dalla serie A alla terza categoria.
Le partite si vedevano solo dal vivo, acquistando i biglietti giorni prima, dopo interminabili file. Compravi il biglietto e poi stavi ore a guardarlo, magari non per strada dove avevi paura che te lo fregassero, ma quando arrivavi a casa. La vita era piena di impegni, ma dall’attimo in cui avevi in mano quel tagliando non esisteva nient’altro che il conto alla rovescia verso il fischio d’inizio.
Prima di partire alla volta dello stadio dovevi sciogliere sempre il dilemma del cibo: mangiare prima della partita o al ritorno a casa? Di solito si optava per una via di mezzo: un panino da mangiare all’intervallo, che puntualmente ti rimaneva sullo stomaco. E poi, sempre lì, allo stadio, dovevi fare i conti con l’assenza di coperture sulle tribune, quindi ti ritrovavi improvvisi temporali o la luce accecante del sole pomeridiano. Sì, perché si giocava di pomeriggio, e l’orario del fischio d’inizio oscillava dalle 14:30 alle 16:30, per garantire (in ogni stagione) di arrivare al fischio finale senza l’accensione dei riflettori.
Se non avevi la possibilità di vedere la tua squadra del cuore dal vivo, c’era la radio. Ti sintonizzavi su Radio Rai e ascoltavi questa sigla, stava per cominciare un nuovo turno di campionato e a raccontartelo era il programma “Tutto il calcio minuto per minuto”. In pieno inverno (con le partite che iniziavano alle 14:30) facevi di tutto per pranzare rapidamente, cercando di coinvolgere al tifo anche il più disinteressato parente presente al tavolo.
Il programma era strutturato in maniera semplice: i cronisti, presenti sui diversi campi, si passavano la linea ogni 30 secondi, per poi intervenire in maniera perentoria nell’attimo in cui veniva segnato un gol o assegnato un calcio di rigore. Ecco, l’adrenalina era tutta lì. Sperare o meno (dipendeva dal risultato maturato fino a quel momento) che il cronista sul campo della squadra tifata intervenisse all’improvviso per segnalare un gol. Ma non finiva lì: se la tua squadra del cuore giocava in casa ogni boato in sottofondo (che preludeva all’intervento improvviso) ti faceva sobbalzare sulla sedia. Al contrario, se giocava fuori casa, quei boati ti facevano tremare.
Ormai il sapore di tutto questo si è perso. Le televisioni a pagamento hanno reso più semplice la visione delle partite, direttamente dal divano di casa. È un sapore diverso, non per forza disgustoso, anzi. Ma la crescita degli introiti, derivanti dai diritti televisivi, ha generato poteri diversi. L’atletismo e la preparazione fisica dei calciatori hanno creato più infortuni, con la derivante necessità di dover giocare a tre giorni (minimo) di distanza tra due partite. In “Europa” non esiste più il “mercoledì di coppa”, ma si gioca dal martedì al giovedì. E quindi con gli anni si è passati dapprima ai posticipi della domenica sera, poi all’aggiunta degli anticipi del sabato e infine a un campionato di serie A che comincia il venerdì e finisce il lunedì sera.
Non cambia la sostanza, il tifoso vive e si nutre di calcio, come sempre. Però c’è sempre meno magia, meno immaginazione. Si gioca ogni giorno, e la domenica pomeriggio è diventata il momento delle partite meno appetibili. Niente adrenalina, niente corse, niente sigle.