Giovani e (forse) spensierati

Il problema, alla fin fine, è che si chiama Inghilterra. Altrimenti staremmo parlando di una nazionale frizzante, giovane e (forse) proiettata verso un buon mondiale.

È uno di quei casi in cui nome ed esposizione mediatica ti mettono al centro delle chiacchiere anche quando vorresti procedere a fari spenti: simbolo di uno sport che può risucchiarti da un momento all’altro.

Ieri pomeriggio il commissario tecnico della nazionale inglese Roy Hodgson, sotto l’occhio del ciclone come chiunque da che mondo è mondo abbia mai guidato i Tre Leoni, ha diramato la prima lista di convocazioni e certi pensieri vengono naturali, autorizzano l’idea che un girone con Italia, Uruguay, Inghilterra e Costa Rica sia davvero una favola, frizzante “girone di ferro” come si diceva un tempo.

Vero che, rispetto all’Italia o all’Uruguay degli anni recenti, gli inglesi palesano una grossa fatica ad andare sino in fondo, risucchiati a volte dalla pressione di media e tifosi (e dalle immancabili polemiche, tra fasce di capitano che cambiano padrone e altri fatti poco calcistici), a volte dai proprio limiti tecnici. O organizzativi: è questo il caso di Euro 2012, dove una nazionale messa insieme in piena emergenza da un ct fresco di nomina dopo le polemiche e l’addio con Fabio Capello non andò oltre una sconfitta ai rigori dopo 120′ di barricate, con l’Italia. Subendo l’inverosimile, con tre quarti dei giocatori stremati e veloci la metà di quelli con la maglia azzurra: della serie, i rigori (vecchia bestia nera dell’Inghilterra) ma anche altri problemi.

Rispetto all’edizione 2012, questa squadra sembra diversa. Restano le perplessità sulla, ridicola, percentuale di giocatori autoctoni che trovano spazio da titolari in Premier League, o sul gioco che mai ha decollato, nell’improvvisazione più totale, nell’impossibilità del fraseggio e del gioco di squadra: non ci è riuscito Capello, figurarsi Hodgson. Però, come ho detto, stavolta sembrano diversi: l’addio al calcio internazionale di Ashley Cole, per esempio, è segno dei tempi Vuol dire che non basta più il nome, che se non giochi titolare a livello di club la maglia te la prende qualcun altro, che i giovani scalpitano.

Restando a Cole, che pure resterebbe un giocatore di affidamento, tempo fa tra i migliori interpreti al mondo nel suo ruolo, le scarpe gliele hanno fatte Baines e Shaw: uno da anni è protagonista nell’Everton dei miracoli, l’altro ha semplicemente la stoffa del campione e se non si brucia sarà titolare sul lungo termine.

Il problema è che manca l’esperienza mondiale ma, ricordiamoci, parliamo dell’Inghilterra: coraggio e spensieratezza potrebbero costruire entusiasmo, mentre l’esiguo numero di top player potrebbe abbassare le pressioni, spegnere i riflettori della critica, liberare i calciatori da tante responsabilità.

Perché questa squadra funzioni, o possa almeno reggere l’urto con le più rodate Uruguay e Italia, servirà che il blocco Liverpool non si sciolga dopo lo scottante finale di campionato, e che nessuno scandalo rompa l’armonia di uno spogliatoio spesso in subbuglio e spesso chiacchierato. In qualsiasi sport, figurarsi in quello più famoso e globale al mondo: potremmo avere una delle sorprese del mondiale e non essercene ancora accorti.

O forse no: è che si chiama Inghilterra, il problema sta sempre lì.

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Matteo Portoghese