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E’ ancora Juventus. Complimenti alla squadra di Conte.
Per la terza volta consecutiva, i bianconeri festeggiano uno scudetto annunciato, inseguito e conquistato, spadroneggiando su una serie A che non ha saputo opporre resistenza se non sul breve periodo.
Ci ha provato la Roma, con la serie di vittorie iniziali che avrebbe potuto rappresentare un trampolino di lancio verso la successione. Ma la rampa di lancio è crollata drasticamente alla vigilia della befana, quando nello Juventus Stadium Tevez e compagni hanno riempito di carbone la calza giallorossa.
Da quel giorno in poi, ai più è parso chiaro il destino del campionato.
Distanziate anni luce, Napoli, Fiorentina, Inter e Milan hanno osservato a distanze crescenti e da galassie non confinanti la costruzione dello scudetto juventino sul pianeta terra.

Può festeggiare l’impresa Antonio Conte, anima carismatica della società bianconera, riuscito nell’impresa della triplice, laddove prima di lui nemmeno Trapattoni o Lippi erano arrivati a tanto.
Certo, in partenza la Juventus era favorita, ma da più parti si ripeteva che non sarebbe stato agevole come negli anni precedenti. Bela Guttmann, l’allenatore che fece grande il Benfica, soleva ripetere che “il terzo anno è fatale”. Un ritornello caro per esempio all’epigono Mourinho, che la notte del triplete nerazzurro, salutò l’Inter a bordo di un auto inviata da Florentino Perez. E non deve essere stato facile nemmeno per Conte, allenatore abituato a interagire mentalmente con la propria truppa, instillando motivazione e partecipazione, sino al punto di rischiare a lungo termine di esaurire la resistenza neuronale dei propri calciatori.
Così non è stato, merito anche di un mercato quanto mai azzeccato che ha irrobustito l’organico con il talento di Tevez e la forza di Llorente, rinnovando l’arsenale del gol juventino e donando nuova linfa di gioco alla squadra.
Fino ad oggi, i successi multipli sono stati solo quelli pioneristici del Genoa (1898-1900 e 1902-1904) e della Pro Vercelli (ben quattro, 1909-1913), della stessa Juventus (cinque, tra 1930 e 1935), del Grande Torino (1945 – 1949), del Milan di Capello (1991 -1994) e infine i cinque dell’Inter (2005-2010, con tutti i tavolini del caso).

In tutte e tre le ultime stagioni, le redini del centrocampo juventino sono state nelle mani di Andrea Pirlo (per lui, è il quarto scudetto consecutivo, essendo sbarcato a Torino da campione d’Italia rossonero). Così come la difesa ha sempre potuto contare nel triennio su Buffon, Barzagli, Bonucci e Chiellini o il centrocampo su Marchisio. Aggiungiamo l’esplosione di Pogba, il ruolo spesso trascinante di Vidal, l’affidabilità del resto della rosa e potremmo raffigurare sinteticamente le caratteristiche della squadra, ben bilanciate tra esperienza di campo, maturità agonistica, robustezza caratteriale e dimensione tecnica.

Certo, non mancano ai detrattori juventini, disseminati lungo lo stivale almeno quanto i propri sostenitori, le motivazioni per il controcanto. Dal classico riferimento alla sudditanza arbitrale, per la verità invocato soprattutto nell’ambiente romanista – chissà che non sia proprio questo limite di indulgenza commiserativa a frenare la crescita la piazza giallorossa -, alla constatazione dei limiti internazionali della squadra bianconera. Ma quanto a questo, l’ambizione di Conte – quella fame costantemente richiamata dall’allenatore di Lecce – si nutre di orizzonti da colonizzare, possibilmente ancora una volta con la maglia bianconera. Magari occorrerà europeizzare un modulo apparso conservativo di fronte a squadre europee dotate di iniziativa calcistica e buona cifra tecnica (come appunto il Benfica), inserendo un’ala offensiva nel rodato meccanismo di gioco. Ma a questo penserà la dirigenza, chiamata ad un’ulteriore salto di qualità.
Altrimenti, alla Juve toccherà vincere ancora una volta in Italia. Perché la Juve, di sicuro non regalerà nulla, neanche l’anno prossimo.