Un editoriale è un onore. E un piacere. Ancora di più quando si tratta di scriverlo per celebrare un evento, una finale, una vittoria. Tra Napoli e Fiorentina: due squadre forti, entrambe vogliose di portare a casa il trofeo, anche soltanto per riscattare una stagione forse al di sotto delle attese (nel senso: priva di successi).
Poi però bisogna mettere in secondo piano il calcio giocato. Anche perché alle 21 non si giocava, e neanche alle 21.45. Aspettavamo notizie e decisioni. Quali, e di chi? I numeri parlano chiaro: diversi feriti prima della partita, pure un proiettile alla colonna vertebrale. Bilancio non tanto di criminalità comune, sinceramente, per l’agguato di Tor di Quinto. Questo per le notizie.
Per le decisioni, probabilmente, la situazione è stata ancora peggiore. Notizie che si susseguono, squadre che entrano ed escono dagli spogliatoi, allenatori che (giustamente) si appartano per parlare tra di loro lontano dalle telecamere. Quelle stesse telecamere che impietosamente inquadrano la maglietta di “Genny ’a carogna” (un soprannome, un programma): nera, con la scritta «Speziale libero».
Abbiamo precedenti in abbondanza: la storia del bambino e del celerino, per il derby di Roma; oppure, appunto, l’omicidio di Raciti a Catania. Curioso: nei giorni in cui diventa difficile appellarsi alla presunzione d’intelligenza, vedendo gli applausi per gli autori di un omicidio; proprio in questi giorni, qualcuno si permette di essere inquadrato in diretta nazionale, inneggiando alla liberazione di un altro assassino. Ognuno a difendere i propri simili.
E dire che il clima, sul campo, sembrava buono: Montella aveva scherzato con Benítez, sulla partita in arrivo («Sarai sazio di vittorie…»); addirittura le squadre erano state accolte dal Papa, che aveva sottolineato quali siano i valori in gioco, e in campo. Senza calcolare, però, gli interessi che vivono fuori dal rettangolo verde.
Il fatto è il potere. Come già Ivan Bogdanov aveva mostrato. Pochi o tanti, l’obiettivo è sempre quello di poter comandare, controllare. Forse il Napoli non sarà il migliore di sempre, tantomeno la Fiorentina; ma sicuramente alle 20.30 eravamo sintonizzati per vedere un bello spettacolo. Abbiamo assistito a tutt’altro. Un’attesa infinita, e soprattutto una sensazione sgradevole. E cioè che a comandare (“il potere”, dicevamo) non fosse davvero chi avrebbe dovuto.
Cioè: a un certo punto, i commentatori RAI hanno detto chiaro e tondo che «la curva ha detto “giochiamo”». Doveva sembrare una bella notizia. Non so voi, ma io l’ho trovata inquietante.
È una frase che denota come il potere della folla non sia sempre qualcosa di positivo (diciamo così); e soprattutto di come tutto ciò, al solito, non abbia più niente a che vedere con il calcio, con lo sport. Ha a che vedere col potere. Più ci penso, meno riesco a spiegarmelo. Perché mai un tifoso (uno qualsiasi, dico) dovrebbe poter avere diritto di veto sul fatto che una partita si giochi o meno? Perché io dovrei avere un potere del genere?
La cronaca meriterebbe di più, e purtroppo la vediamo solo di striscio; per quanto riguarda questo articolo, possiamo semplicemente ridurci a citare il doppio Insigne, poi Vargas, infine Mertens che chiude i conti. Perché la cosa assurda è che si è giocata una bella partita, a viso aperto, giocata bene e vissuta come se fosse una serata normale. Potremmo dire di Montella, orgoglioso dei suoi, oppure di Benítez “perdente di successo”.
Ma, ovviamente, non ha senso parlarne. Perché parla il calcio malato. Perché a volte la cronaca vera è la cronaca nera, non quella verde.