C’era un vecchio spot di un noto drink alcoolico che mostrava due adulti intenti a discutere di calcio di fronte al proprio bicchiere. Uno dei due guardava l’altro con odio e poi lanciava la terribile minaccia: “Era rigore, non trovi?”. Per mesi guardai quello spot pubblicitario con gli stessi occhi dell’indù che vede passare il treno, ogni volta cercando di figurarmi la faccia della persona che aveva scritto i dialoghi, perché qualcuno doveva per forza averlo fatto. “Era rigore, non trovi?” è una roba che puoi dire solo dopo aver accoppato il tizio dell’altra squadra con un machete arrugginito. Prima di costituirti. Nella realtà, quella vera – quella in cui Tarzan NON si sveglia alle 7 di mattina col sorrisone e l’alito mentolato pronto ad andare a caccia di Gocciole – su un rigore/nonrigore due amici possono proferire anatemi irripetibili, capaci di raggiungere gli altrui defunti per quattro o anche cinque generazioni.
L’ultima litigata del genere – lo ammetto – io me la sono giocata non per un penalty, ma per attaccare un giocatore che non mi ha mai realmente convinto, e il cui nome è Mario Balotelli. La cosa veramente buffa è che le sue parole al vetriolo contro il simpatico Marocchi non mi toccano affatto. Nelle ultime due settimane abbiamo assistito al tilt di più di un attaccante: il vichingo Lopez che non dà la mano, Icardi che appoggia le corna sul volante, Livaja che si suicida mediaticamente a Bergamo. Tralasciando il povero Maxi, a cui prudono almeno un paio di giustificazioni evidenti, ci sarebbe da chiedersi cosa tutto questo voglia dire.
Che il caldo fa male ai numeri 9? Che la maleducazione non ha continente, ed è comune in equa misura a chi è originario del Sudamerica, come dell’Europa, come dell’Africa? O forse, molto più probabilmente, che Livaja, Balotelli e Icardi sono calciatori accomunati da tre soli particolari: avere 20 anni, essere ignoranti come scalpelli e mostrare serissimi problemi relazionali. Che non è affatto uno scandalo, visto che il 99% dei ventenni ha le stesse identiche caratteristiche, solo che non finisce sui giornali ogni volta che manda a quel paese della gente, o si fa la fidanzata dell’amico, o risponde “Non capisci niente” a un professore (ammesso che Marocchi, con quegli occhiali, possa somigliarvi).
Che Balotelli si comporti da ventenne, mettendo in bella mostra – con un autolesionismo che fa quasi tenerezza – tutta la propria “ventennità”, non è quella che si dice una notizia. Fanno tutti a gara a stuzzicarlo, sperando che sbrocchi, e lui li accontenta mostrando masochismo e muscoli, oltreché un’apparente personalità. Dico apparente, perché quella vera lo porterebbe in fretta a mollare il microfono mostrando un bel sorriso, nel rendersi conto una volta per tutte che farsi manipolare dai giornalisti non è la mossa più intelligente che un ragazzo ultraricco può permettersi.
Il vero problema riguarda invece il contatto dei suoi tacchetti sull’erba di San Siro. Che è un contatto moscio, irrilevante, stitico fino alla nausea. Mario Balotelli ha 24 anni e un grande futuro alle proprie spalle. Dal 2010 lo definiscono un supercampione, ma nessuno riesce a spiegare perché. Ha doti tecniche inarrivabili, dicono, ma ha questo vizio di tenerle gelosamente per sé. Per dimostrarle bisogna andare a ripescare il tacco all’Inter contro il Rubin e l’inutile girata fra le salme dei difensori irlandesi agli ultimi Europei. Ha doti fisiche pazzesche (ed è assolutamente vero), ma finora le ha usate solo in quel trionfale A-Game sulla Germania e in poche altre occasioni.
In più è simpatico come un wafer sbriciolato fra le lenzuola e non sorride mai. Poco male, potremmo dire. Prima di lui tanti altri attaccanti si sono mostrati antipatici & vincenti. Brian Clough, Diego Maradona, George Best, Eric Cantona… Tutta gente a cui il più delle volte avresti volentieri tirato un pugno in faccia. Ma anche gente che se lo poteva permettere. Gente che in campo tirava fuori l’anima, tanto che non importava più a nessuno se la notte precedente l’aveva passata a cavalluccio di tre bionde in discoteca.
E gente con personalità da vendere, come quel gigantesco signore con il numero 7, che un giorno del 1995 mollò un calcio volante a un tifoso avversario. E che poi sapeva di aver compiuto un gesto indifendibile, lo sapeva eccome, ma non si fiondò su Twitter a balbettare scuse atroci. Apparve invece di persona, in conferenza stampa, a spiegare a giornalisti allucinati che “i gabbiani seguono il peschereccio solo perché sperano che le sardine vengano gettate in mare”. Andandosene, poi, per rimanere eterno e lasciare con un pugno di sardine in mano tutti quelli che erano andati lì per sbeffeggiarlo.
Caro Mario, non mi stai antipatico. È solo che ci sono due modi per rispondere male a chi ti fa delle domande con un microfono in mano. Il primo è essere un campione, e ti fa diventare una sorta di mito maledetto. Il secondo è non esserlo, e allora rischi di farti molto male. Tu sei davvero sicuro di non rientrare, al momento, in questa seconda e ben più estesa categoria?