Siamo purtroppo costretti a guardare la Champions in tv senza godere delle scintillanti prestazioni delle nostre squadre. Due semifinali di andata disputate, un solo gol, quello di Benzema, che porta avanti il Real contro il Bayern Monaco. Ancelotti vince il primo round su Guardiola, martedì sera Mourinho, innalzando praticamente un muro dinanzi la porta del Chelsea, può dire di aver portato a casa la prima ripresa nei confronti di Simeone. Certo, ci sono ancora novanta minuti da giocare, ma per adesso tracciamo un primo bilancio, e diciamo che la prudenza ha avuto la meglio sulla spregiudicatezza.
Dicevo, iniziando questo pezzo: siamo costretti a guardare gli altri in tv. E vabbè, un po’ rosichiamo, è scontato, ma un po’ proviamo a crogiolarci in quel senso di pragmatico patriottismo che pervade l’anima di ognuno di noi quando vediamo imperiosi catenacci imporsi sui più svariati tiki-taka, schemi offensivi, arrembaggi vari ed eventuali. E’ scritto nel firmamento che il calcio italiano è estremamente tattico, a volte esageratamente attento. Carlo Ancelotti, due volte campione d’Europa con il Milan (2003 e 2007) sta riuscendo a esportare questo modo di fare calcio anche all’estero: ha provato a farlo a Parigi, ci sta provando (con maggiore soddisfazione) a Madrid. Il suo Real, pieno zeppo di qualità, dà la sensazione di essere quadrato. E’ una squadra compatta, che rispetto al passato dà l’impressione di badare maggiormente alla fase difensiva. Ancelotti sta insegnato l’arte del “non prendiamone prima di tutto”, che all’estero è spesso seconda a quell’altra arte calcistica, quella che dice “facciamone sempre uno in più degli altri”.
Prudenza, dunque. Quella che anche José Mourinho ha dimostrato di possedere come talento, nel suo modo di concepire la tattica. Negli occhi, nella memoria, la sfida indimenticabile: quel Barcellona-Inter del 2010 in cui lo Special One stroncò i sogni di remuntada catalani. Si partiva del 3-1 di San Siro. Al Camp Nou, il Barça ne doveva fare due: riuscì a buttarne dentro solo una. La capacità di Mou fu quella di stravolgere qualsiasi ruolo (Eto’o fece il terzino!), fu quella di far sentire unito, ancor più unito, un gruppo che riuscì a respingere al mittente una miriade di insidie. Sì, esattamente come accaduto martedì sera: squadre diverse, situazioni molto simili. L’Atletico Madrid che si getta in avanti, Simeone che spinge i suoi all’attacco, Mourinho che gioca a scacchi. Muove le sue pedine, equilibra la difesa, praticamente sì, alza un muro dinanzi la propria porta. Ok, esagerato magari affermare che tutto ciò l’abbia imparato da noi, però un po’, questo stile di fare calcio attento, ce lo sentiamo cucito addosso. E no, non sto qui a scrivere che, da italiani, dobbiamo esser fieri di ciò; ci stiamo accontentando delle briciole. È ovvio. Ma ora come ora non possiamo fare altrimenti. Le nostre squadre non stupiscono, gli allenatori che sono passati da noi sì. E allora saranno pure briciole, sarà che l’Europa è avanti e siamo costretti a inseguire, sarà quel che sarà, ma la base da cui ripartire c’è se all’estero qualcuno trae soddisfazioni da come si gioca dalle nostre parti. L’Europa dunque è avanti ma tutto sommato non è così lontana come in molti vogliono farci pensare. Il nostro calcio mancherà pure di qualità ma forse, sotto sotto, funziona. L’Italia vive di pallone, la sua è una scuola che all’estero ci hanno spesso invidiato e copiato nel corso degli anni. Sta a noi, adesso, ripartire. Sta a noi tornare a dimostare che questo calcio prudente, attento, quadrato, cinico, sappiamo farlo funzionare meglio di tutti. Dovremo essere bravi a tornare presto a competere: è la storia che ce lo impone.