Prandelli e i “nuovi italiani”
Fu proprio Cesare Prandelli a coniare il termine “nuovi italiani” per esprimere un concetto di apertura da parte della nazionale a quei giocatori che hanno nazionalità italiana pur non essendo nati o cresciuti nel nostro paese.
“I nuovi italiani possono portare cultura e mentalità, con loro possiamo solo migliorare” così il Ct azzurro sottolineava le risorse che potrebbero nascere dall’utilizzo di campioni oriundi per rappresentare la nostra Italia. Il calcio quindi a passo con i tempi, uno sport che si evolve con la società moderna e abbatte le frontiere.
A mesi di distanza tuttavia il selezionatore sembra essere passato da una vaga disponibilità a una caccia all’oriundo. Se i vari Balotelli, Ogbonna, ed El Shaarawy sembravano delle eccezioni ora il ct sembra ricercare più il talento d’importazione piuttosto che quello nostrano.
Prandelli negli ultimi mesi ha mascherato dietro questa vena di evoluzione, la volontà di migliorare la qualità di una nazionale evidentemente insufficiente. A suo giudizio, per ben figurare in Brasile. Ci siamo quindi ritrovati in azzurro con Paletta e Romulo quasi certi del Mondiale, schivando le convocazioni di Jonathan e Jorginho, perdendo per strada Amauri e Ledesma.
Per carità la storia italiana è costellata di “oriundi” che hanno regalato esperienze più o meno fortunate alla Nazionale. In fondo le polemiche ci sono sempre state, basti pensare alle iniziali critiche sullo scarso senso di appartenenza di Camoranesi, dispute dimenticate e disperse dopo la vittoria Mondiale del 2006. Ma se i casi più recenti come l’ex juventino o Thiago Motta erano sporadici, ora ci troviamo di fronte ad una situazione che sta sfuggendo di mano, che comporta delle problematicità da valutare.
Il primo segnale forte di questa rincorsa al talento straniero da inserire nell’organico azzurro è il sacrificio dei giovani talenti italiani e dei settori giovanili. Siamo davvero convinti che questi giocatori “acquistati” dalla nazionale maggiore siano realmente migliori di alcuni giovani ragazzi che hanno solo necessità di crescere ed affermarsi?
Il livello della attuale Serie A si è abbassato drasticamente negli ultimi anni, come possiamo quindi essere sicuri che giocatori come Paletta, Romulo o Jonathan siano migliori di italiani dimenticati da Prandelli che giocano in campionati probabilmente più performanti?
Caldirola, Donati e Santon sono titolarissimi in squadre di media alta classifica in campionati come Bundesliga e Premier League, tuttavia non sono mai stati presi in considerazione da Prandelli. Così come altri colleghi che hanno trovato fortuna all’estero: Pellè ha segnato 50 goal in due stagioni di Eredivisie ed in Italia nessuno lo menziona, oppure Borini che balzato agli onori della cronaca nella stagione romana, ora è solo un ricordo nonostante i suoi exploit al Sunderland.
A quanto pare hanno più visibilità per il Ct gli stranieri che giocano in Italia, piuttosto degli italiani all’estero. Che sia per questo che i nostri giocatori faticano ad accettare proposte straniere, oppure è l’estero poco interessato dalla qualità italiana?
Resta comunque preoccupante e sintomatica questa nuova tendenza lanciata da mister Prandelli. Il calcio italiano è in crisi, non servivano certo queste convocazioni “particolari” per dircelo, ma a quando pare la Lega fa orecchie da mercante senza cercare di investire sui settori giovanili per garantirsi una prospettiva di qualità dei calciatori italiani.
Se questo è il futuro mi permetto quindi di segnalare a Prandelli qualche astro nascente che potrebbe avere nazionalità italiana e quindi rinforzare a breve la nostra nazionale maggiore. Ecco quindi: Rafael Toloi di origini venete recente acquisto della Roma, il numero 10 del River Manuel Lanzini classe ’93, Luciano Vietto anno’93 del Racing Avellaneda e soprattutto il classe ’94 del Chelsea Lucas Piazon ora al Vitesse.
Chissà che questi ragazzi con il giusto corteggiamento non si affezionino alla maglia azzurra e al nostro bel paese, in fondo il senso di appartenenza, il patriottismo non sembra più legato a una vocazione, ma piuttosto a una convocazione.