“In aprile è dolce il dormire“
Chiaramente solo se non siete appassionati NBA, perché dal 19 aprile partono i playoffs, lo spettacolo più bello del mondo. E dormire passerà in secondo piano per molti, anzi, moltissimi cultori del gioco. Intensità, qualità, difesa e soprattutto tanto, tanto agonismo: finalmente direte voi, dopo una regular season in cui non tutte le squadre si sono spremute sino in fondo, com’è ovvio che sia in una stagione da ottantadue partite. Molte franchigie hanno deluso, vedi i Lakers e i Knicks, entrambe fuori dai playoff: probabilmente era pronosticabile per i californiani, mentre la squadra della Grande Mela partiva tra le favorite a est, salvo implodere già dopo poche partite e dimostrarsi come una delle fazioni peggiori a livello di gioco – togliete IsoMelo nel playbook, grazie – e risultati.
Restando a est, Indiana è riuscita nello scherzetto di mettersi alle spalle Miami – a meno di clamorosi risultati nell’ultimo turno – nonostante lo spogliatoio nelle ultime settimane sia una vera e propria polveriera: la franchigia di Indianapolis ha sofferto moltissimo la partenza di Danny Granger, nonostante in campo non sia mai stato indispensabile recentemente, e nelle ultime 10 partite ha totalizzato un record pari a 4-6, deludente considerando che in tutto il resto della stagione aveva perso solo venti incontri. Peccato perché, al momento, Miami sembra essere troppo più forte di tutti, nonostante i problemi fisici di Wade e la rinascita di Brooklyn che, dopo una partenza simil-Knicks, nel 2014 si è ripresa inanellando una striscia di risultati importante: un’ottima notizia per Jason Kidd, alla sua prima da allenatore, mentre in questi playoffs credo che nessuno affronterà a cuor leggero la squadra di New York. Le grandi sorprese della Eastern Conference, però, sono stati i Raptors e i Bobcats; l’ex squadra di Andrea Bargnani avrà sicuramente il vantaggio del campo nel primo turno, cosa che non accadeva dalla stagione da rookie del romano, mentre Charlotte si è incredibilmente qualificata alla postseason, lasciando fuori dal lotto le più quotate Cleveland, New York e Detroit. A proposito, stagione sfortunata per Gigi Datome che, a parte qualche rara eccezione, ha visto i compagni prendere scoppole dalla panchina: siamo sicuri che il sardo riuscirà a imporsi prima o poi in questa lega, anche sfruttando l’esempio di Marco Belinelli.
Se siete alla ricerca di uno stimolo per immergervi nell’atmosfera USA, allora non potete fare a meno di sostenere proprio il cestista di San Giovanni in Persiceto: i San Antonio Spurs di Gregg Popovich, per l’ennesima stagione, hanno ottenuto il miglior record dell’NBA e partono favoriti per la corsa al titolo. Mai darli per bolliti, specie se il rendimento di Mills e Belinelli sarà questo sino a giugno: chiaramente dipenderà molto dalla salute dei big three, a cui dall’anno scorso si è aggiunto un Kawhi Leonard versione fenomeno, l’unico in grado di poter tenere Kevin Durant in vista della probabile finale di conference con Oklahoma City. Il basket, però, più volte si è dimostrato come uno sport in cui i meccanismi sono fondamentali anche più del talento, e basta un solo piccolo sassolino per buttare via una stagione intera: anche perché, finisse oggi la regular season, San Antonio si scontrerebbe con Memphis, una squadra che in passato ha già dimostrato di poterla buttare fuori senza pietà. La parte dell’outsider, inoltre, sarà recitata da Chris Paul e compagni, visto che da quest’anno sono i Clippers la squadra più forte di Los Angeles; occhio non solo a Lob City, ma anche agli Houston Rockets, non sia mai che il duo Harden-Howard possa mettere a tacere molti critici. Poche aspettative, invece, da Golden State e Dallas, anche se un motivo per cui seguire la franchigia texana ci sarebbe. Quello col 41, biondo e tedesco, che continua a sbriciolare record di punti uno dopo l’altro: 26700 and counting. Menzione d’onore, infine, per Phoenix che, trascinata da un maturatissimo Dragic, è già fuori aritmeticamente dalla lotta playoffs nonostante 47 vittorie portate a casa: il futuro, però, è dalla loro perché il salary cap è pressoché vuoto, con i migliori giocatori già firmati e qualche scelta interessante al draft. Il sole sta tornando, prima però è tempo di playoffs NBA.