Chiedetelo a chiunque capisca anche solo un poco di calcio cosa si intenda con “més que un club”, la risposta che vi sarà data è sempre e solo quella: “Barcelona FC“. Società dal fascino unico, conosciuta in tutto il mondo, signori: è la squadra di Lionel Messi, il giocatore più forte di tutto il panorama calcistico internazionale, l’erede – secondo tantissimi – di Diego Armando Maradona.
Un club, il Barça, capace di costruire attorno al suo nome uno stile di fare calcio. Una società in grado di cambiare completamente il modo di concepire la tattica. Chi non sa cosa sia il tiki-taka: se ne è parlato e riparlato, a un certo punto, un paio di anni fa, era diventato oramai un tormentone: è lo stile di gioco fatto di passaggi continui, veloci, irritanti. Imitato un po’ ovunque ma mai veramente nella maniera giusta (ricordatevi la Roma di Luis Enrique… e dimenticatela subito), elogiato forse anche troppo di quanto lo si doveva realmente fare, studiato, ristudiato, entrato in breve tempo nel manuale della tattica del calcio. Chi non ricorda, poi, la nascita del “falso nueve”, il finto centravanti, il numero nove che più che segnare deve far segnare… anche se a ben pensarci, fermi tutti solo un attimo: ritorno a prendere in causa la Roma. Ricordate quella spallettiana? Giocava praticamente senza attaccante di riferimento. Già, una sorta di falso nueve non ufficiale. Ma vabbè, diamo il brevetto al Barça, fa decisamente più Figo (passatemela).
Insomma, facendola breve… giù il cappello dinanzi alla grandezza della società blaugrana. Infinita la sua storia, immenso il suo blasone. Anche se… diciamolo, purtroppo sembra essere finito un ciclo. Sembrava già essere finito quando Guardiola aveva deciso di andar via, ma suvvia, calma, vediamo cosa bolle ancora in pentola, vediamo cosa accade nelle gestioni a venire. Sfortunata quella di Tito Vilanova, costretto a lasciare per problemi veri, di salute; non così convincente quella attuale del Tata Martino, che in Liga insegue, in Champions… è caduta. Già, la colpa è sempre di quelli lì, quei ragazzi terribili guidati da una nostra vecchia conoscenza. Cholo Simeone: che fai, rendi l’Atletico Madrid uno squadrone imbattibile? Primo in campionato, ora in semifinale di Champions League. Che qualità, i Colchoneros. Che gioco, che intraprendenza. Il gol di Koke ha mandato in paradiso la Madrid biancorossa, e all’inferno un Barcellona che… sì, il ciclo l’ha ufficialmente chiuso. Addio tiki-taka, addio sogni di gloria, perlomeno per quest’anno. In Catalogna no, non ci si esalta come negli anni passati: qualcosa non quadra, qualcosa non quadra… nella testa. Di chi? Dei giocatori, dell’allenatore, della dirigenza, in generale… di tutti. È come se la società intera sentisse che il momento non è dei migliori, e ne soffre. Riesce in qualche modo a sopperire a gran parte delle difficoltà grazie alla tecnica immensa dei giocatori che ha in squadra e alle abilità di un allenatore comunque capace, ma è palese che questo Barça non sia il solito Barça. C’è bisogno, dunque, di cambiare qualcosa, di avvitare qualche rotella, di tornare a considerarsi i migliori. Perché ora come ora, il Barcellona non è più “més que un club” (più di un club). E’ attualmente un club… normale, dalla storia super, certo, ma del tutto normale. Cioè: è e resta forte, blasonato, ma non dà l’impressione di essere più così speciale. Problema, questo, da risolvere immediatamente, situazione da saper gestire nel migliore dei modi. Barcellona è bene che sia grande. Perché quei colori, quello stadio, sono unici; e quella città, che vive e respira calcio, no: non può e non deve mai accontentarsi.