Mille pugni ancora sotto la maglia
Si è recuperata, finalmente, Roma-Parma, dopo il nubifragio che ne costrinse la sospensione un paio di mesi fa. E’ stata una partita strana, si sono visti gol sin dall’inizio, i giallorossi hanno vinto, e lui, quello là col numero undici sulle spalle, l’ha buttata, dopo tanto tempo, di nuovo in fondo al sacco. Da lì, il delirio. Olimpico in festa, per un gol che no, neanche valeva i tre punti, perché i giallorossi avrebbero vinto comunque 3-2. Il delirio è scoppiato perché quel gol l’ha siglato un giocatore che è uno dei pochi esempi oramai da seguire in questo calcio in cui i vizi prendono sempre più spesso il posto dei doveri morali. Rodrigo Taddei. Uno di quelli che se non ci fosse Totti si contenderebbe con De Rossi il posto di capitano di una Roma quest’anno più che mai orgogliosa.
Anno 2005, approda nella Capitale dopo tanta esperienza maturata a Siena, lasciata dopo aver portato la squadra in A e dopo aver assistito alla tragedia del fratello, scomparso a 21 anni nel 2002 in quell’incredibile incidente stradale che coinvolse anche lo stesso Rodrigo. Pian piano, lui si riprese, tornò a giocare, salvò il Siena, passò in giallorosso. In questi nove, lunghi, anni di Roma, magari non avrà stupito per la qualità del gioco – perché è uno che nonostante una tecnica immensa non riesce a essere così continuo – ma ha più che stupito, invece, per la disciplina tattica e umana. Silenzioso, lavoratore, negli ultimi anni consapevole che per lui ci fosse meno spazio. D’altronde è un classe 1980, e là, nel centrocampo della Roma, escluso il veterano De Rossi giocano due giovanotti come Pjanic e Strootman, entrambi esattamente dieci anni più giovani di lui. Già, Strootman: un guaio per la Roma il suo infortunio. La Capitale inizia ad avere paura, non c’è uno alla sua altezza in panchina, si mormora, si chiacchiera, “ecco, lo sapevo, non si doveva dare via Bradley”. Taddei ascolta, tace, lavora, si allaccia gli scarpini.
Signori, Don Rodrigo torna in campo, e lo fa con la sua, consueta, pazzesca, grinta. Sostituire l’olandese, uno dei migliori in assoluto nel suo ruolo, non è mica roba da poco, ma figuriamoci: experientia docet, e di esperienza, Taddei, ne ha a vagonate. Di qualità pure. E allora, rieccolo in campo, rieccolo a correre, spezzare le azioni offensive, inserirsi, come la vecchia scuola spallettiana gli ha insegnato. Eccolo fare gol. Quello del 4-2, quello che ha fatto ribattere dopo due anni e mezzo quel pugno sotto la maglia. Quello che dimostra come sì, passeranno anche gli anni, ma se hai cuore, anima, passione, voglia, qualità ed esperienza… gli anni no, finisci per non sentirli veramente mai.