Uno Stadio da Oscar
Mentre la bella stagione calcistica della Roma entra in quella fase meridiana e preserale, per cui non resta che affacciarsi dalla balconata del secondo posto e godersi i tramonti incendiari dietro le maestà di fontanoni, puponi e cupoloni, la fantasia dei tifosi da qualche giorno veleggia a largo, verso un’isola che non c’è chiamata “nuovo stadio”.
Il progetto presentato in Campidoglio una settimana fa è ambizioso ed ha suscitato immediato entusiasmo. Già nelle ultime ore l’architetto Dan Meis ha annunciato alcune migliorie, raccogliendo le indicazioni ricevute sulla prospettiva della Curva Sud, il cuore pulsante del tifo che dovrebbe accendere l’animo gladiatorio dei giocatori e intimorire gli avversari, facendo ripidamente affacciare 14.000 tifosi sul campo da gioco.
I richiami alla storia di Roma dovrebbero risiedere nella scelta dei materiali locali – quindi probabilmente travertino – per edificare una parete esterna che ricordi un Colosseo di bianche fattezze. Un’idea di classicità a sintetizzare l’architettura presente e futura di Roma, a cui non era estraneo neanche il vecchio Stadio Olimpico, che sorge dove doveva essere edificato il Foro Mussolini (poi Foro Italico, come lo conosciamo oggi, terminato in versione meno monumentale), adorno di statue e mosaici rievocativi.
Qualche voce fuori dal coro, tra gli addetti ai lavori, si è già levata, prima tra tutte quella dell’architetto Fuksas, che ritiene il disegno dello stadio troppo simile ad un centro commerciale e avrebbe preferito una ristrutturazione dell’Olimpico. Mentre la zona prescelta, quella di Tor di Valle, desta qualche perplessità per la vicinanza con un’ansa del Tevere e il carattere sabbioso del terreno. Senza contare la necessità di ammodernare le infrastrutture di collegamento, attualmente ridotte alle rotaie antiche della Roma-Lido.
Un altro dubbio, purtroppo del tutto italico, è legato alla distanza tra il dire e il fare che troppo spesso fa sì che i progetti naufraghino a metà strada in un mare di delusione. Senza tornare ad Italia ’90, per quanto riguarda Roma basta citare l’esperienza delle opere progettate per i Mondiali di nuoto del 2009, come “la città dello sport” dell’architetto Santiago Calatrava, che fa bella mostra della sua incompiutezza sul panorama di Roma Est. In questo caso, la committenza privata affidata agli americani, desiderosi di inaugurare per la stagione 2016-’17 l’opera, potrebbe riuscire a sormontare le prevedibili sabbie mobili della burocrazia, coniugando – come ahimè purtroppo sembra difficile che accada nel settore pubblico – l’aspettativa commerciale e quella popolare.
Non mancano gli esempi di stadi che storicamente hanno saputo apportare nei panorami metropolitani anche importanti novità artistiche. A Firenze, lo Stadio Campo di Marte – attuale Franchi – fu progettato dall’architetto Pier Luigi Nervi, e ebbe nella Torre Maratona un elemento architettonico di rilievo. Proprio quel Nervi che anche a Roma, contribuì disegnando il Palazzo dello Sport all’Eur e il Palazzetto dello Sport di Viale Tiziano, (oltre che altri edifici civili di rilievo come la sala delle udienze papali in Vaticano). Soluzioni architettoniche importanti, si sono viste anche a San Siro, come le rampe elicoidali per accedere a quello che è tuttora definito come “la Scala del calcio” o nello stadio Marassi dell’architetto e storico Vittorio Gregotti (classe ’27 e tuttora vivente). Ma a funzionare da paradigma attuale, è senza dubbio lo Juventus Stadium, inaugurato due anni fa e avanguardia italiana in merito.
In Europa, fin troppo facile citare gli stadi privati di Monaco o di Dortmund, il Camp Nou di Barcellona e Stamford Bridge ed Emirates Stadium, per andare in Inghilterra. Senza dimenticare, sul versante orientale del mondo, l’avveniristico Stadio Nazionale di Pechino, il cosiddetto “nido di uccello”.
Le credenziali dell’architetto Meis dovrebbero tranquillizzare i romani: membro dell’American Institute of Architects americano, ha firmato il Los Angeles NFL Stadium e molte altre opere negli USA, oltre ai progetti per lo stadio di Doha in Qatar.
Tra continuità storica e visioni di futuro, a Roma qualcosa si sta muovendo. Per una città che negli ultimi decenni ha lamentato un immobilismo mosso solo dagli appetiti periferici dei famigerati palazzinari capitolini, questo progetto a ben guardare rappresenta qualcosa che va oltre il calcio. Un nuovo appuntamento con il futuro, a cui, per una volta, bisognerebbe arrivare preparati. Altrimenti, non resterà, come al solito, che rimanere legati all’immagine, stupenda quanto olografica, della Grande Bellezza di Roma, un sogno eterno che illanguidisce nella storia, senza però mai un presente.