#Wenger1000, se quantità fa rima con qualità

L’hashtag nel titolo è una licenza di cui mi prendo piena responsabilità, ma ha un senso logico. Nel mondo attuale, dove tutto è comunicazione, il cancelletto-Wenger-1000 è stata la forma preferita da tifosi (e non) per celebrare le mille partite di Arsène Wenger da manager dell’Arsenal. Certo, così è stato fino a sabato mattina. Poi i Gunners sono scesi in campo contro il ChelseaStamford Bridge. Hanno preso un gol dopo 5 minuti, un altro al 7′, un terzo al 17′, il quarto prima dell’intervallo. Altri due nella ripresa. 0-6. E il mondo attuale vive di comunicazione in tempo reale. #Wenger1000 è diventato immediatamente #WengerOUT. Per l’ennesima volta, negli ultimi 4-5 anni. Dovendo scrivere qualcosa su una tappa così importante (mille partite da allenatore dello stesso Club), quindi, non so se essere più o meno in difficoltà per il fatto che sia stato “celebrato” in modo così orrendo. Forse, però, è l’occasione perfetta per far luce sul perché questo sia effettivamente un traguardo che rappresenta qualità e non casualità.

Intendiamoci, non può mai esserci casualità se un allenatore resta così a lungo sulla stessa panchina. Poco meno di un anno fa si scriveva del ritiro dal calcio “allenato” di una leggenda quale Sir Alex Ferguson (1.500 partite da manager del Manchester United, dal 6 novembre 1986 al 13 maggio 2013): lo scozzese aveva sfiorato l’esonero dopo soli 4 anni in carica e zero trofei vinti, salvato da una vittoria in FA Cup sul Nottingham Forest (1990). Solo circostanze eccezionali permettono di raggiungere questi record ma, allo stesso tempo, sono il risultato di una fiducia ben riposta e di una pianificazione che permette al Club in oggetto di restare al passo con i tempi (e nel calcio, mai come negli ultimi 20 anni ce n’è stato bisogno).

Wenger prese in mano un Club semplicemente “inglese”, nel 1996. Una squadra, e una società, che aveva una dimensione solamente nazionale, sia dal punto di vista del marchio, sia dal punto di vista strutturale. Lasciando da parte la rivoluzione “europea” prima e “francese” poi, in termini di giocatori scelti, il vero enorme lavoro del manager alsaziano è stato quello di cambiare l’identità dell’Arsenal, trasformandola in “internazionale”. E questo senza vincere nessun trofeo in Europa. Certo, nel mentre, 3 campionati e 4 FA Cup (più 4 Supercoppe nazionali) ne hanno fatto il manager più vincente della storia del Club (oltre che il primo allenatore straniero di sempre a vincere la Premier League), ma la sua visione a lungo termine ha permesso all’Arsenal di uscire dagli anni ’90 – una coda degli anni ’80, peraltro – ed entrare nel nuovo millennio, nella nuova era del calcio che oggi, ad esempio, in Italia vediamo come qualcosa di sfuggente e lontano.

Il momento forse più alto degli anni di Wenger all’Arsenal: la Premier League 2003-04 vinta da imbattuti. Mai nessuno prima di allora (solo il Preston nel 1889, con un format diverso, 22 partite totali invece di 38).

A prescindere da tutto, e nonostante il calcio sia uno sport – quindi sia pensato per raggiungere un risultato, cosa che l’Arsenal non vede dall’FA Cup vinta nel 2005 e dalla finale di Champions League del 2006 – il modo di dire “i calciatori passano, il Club resta” inquadra bene il fatto che, alla fine, ciò che rimane è sempre quell’istituzione, con un nome, uno stemma e un certo numero di tifosi in giro per il mondo. Nel caso dell’Arsenal, il lavoro di Wenger è stato soprattutto questo: stravolgere gli schemi e, allo stesso tempo, rafforzare la struttura dell’intera società. Nel 1999 vennero spesi 10 milioni di sterline per il nuovo centro d’allenamento – quelli della cessione di Anelka al Real Madrid; poi la costruzione dell’Emirates Stadium tra il 2003 e il 2006; e, nondimeno, l’organizzazione di un sistema di academy giovanile, con osservatori e scuole calcio in tutta Europa.

È questo, secondo me, il modo giusto di leggere il significato di 1000 partite da allenatore della stessa squadra. Ovvio, poi ci sono le esultanze per vittorie, le prese in giro per le sconfitte, i pochi trofei (in rapporto alle occasioni avute), un campionato vinto senza mai perdere una partita (The Invincibles, 2003-04) e il record inglese di partite consecutive senza sconfitte (49). C’è tutto questo, senz’altro, ma l’Arsenal è un Club vecchio più di un secolo (1886) e ha altrettanta storia davanti a sé. L’Arsenal di oggi ha un’importanza globale, con o senza trofei, ed è qualcosa di completamente diverso rispetto a 18 anni fa. Wenger ha assicurato un futuro all’Arsenal nell’élite in Inghilterra e in Europa. Ed è un risultato concreto e molto più importante di quanto si possa pensare.

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Di seguito qualche statistica su alcuni degli allenatori più longevi con lo stesso Club:

  • Sir Alex Ferguson (Manchester United): 1.500 partite, 1986-2013 (segue Matt Busby: 1.120, 1945-69)
  • Bill Struth (Rangers): 1.179, 1920-1954 (seguono William Wylton e Scot Symon con più di 600 partite, poi tutti gli altri)
  • Arsène Wenger (Arsenal): 1.000, 1996-in corso (seguono Bertie Mee: 539, 1966-76; altri 4 allenatori con più di 400 partite e via via tutti gli altri)
  • Guy Roux (Auxerre): 890, 1961-2005
  • Bill Nicholson (Tottenham): 832, 1958-74
  • Bill Shankly (Liverpool): 783, 1959-74
  • John Lyall (West Ham): 708, 1974-89 (seguono Syd King: 638, 1901-32 – più longevo per num di anni, Ron Greenwood: 613, 1961-74)
  • Johan Crujiff (Barcellona): 602, 1988-96
  • Giovanni Trapattoni (Juventus): 596, 1976-86 e 1991-94 (segue Lippi: 405, 1994-99, 2001-04)
  • Miguel Muñoz (Real Madrid): 595, 1960-74 (segue Del Bosque: 233, 1999-2003)
  • Nereo Rocco (Milan): 459, 1961-63, 1967-74, 1975-76 e 1977 (segue Ancelotti: 420, 2001-09)
  • Helenio Herrera (Inter): 366, 1960-68 e 1973-74 (segue Trapattoni: 233, 1986-1991)