La sfida è finita. Per adesso
Ne abbiamo già parlato ieri: Fiorentina e Juventus e gli intrecci del destino. Quattro volte in una stagione: non càpita spesso. E ancor meno con la frequenza di queste settimane: andata e ritorno in Coppa, e solo ritorno in campionato. Tutto insieme (… in ordine inverso, però).
Ne è uscito un bello spettacolo, e abbiamo assistito a una serie di sfide equilibrate, tra due compagini destinate a conoscersi molto, e ad apprezzarsi poco. In altre parole: già sappiamo come, tra Torino e Firenze, non corra buon sangue, anzi, tutt’altro. È un fatto storico, e assodato.
Come pure, al di là dei complimenti, è facile pensare che non ci sia particolare simpatia tra i due tecnici: al di là del carattere e di certe uscite, Conte ha comunque vinto troppo, in tempi recenti, per essersi fatto grandi amici. Anche questo è un dato di fatto: l’invidia fomenta le inimicizie. È evidente a tutte le latitudini.
Poi, però, possiamo anche guardare a tutto questo partendo da un punto di vista esterno. Senza scendere in campo, fermandoci alla panchina, al manico. Perché dobbiamo renderci conto anche di questo: una generazione è passata (quella dei Trapattoni, poi dei Lippi e dei Capello), un’altra ancora se la gioca a viso aperto (quella dei Prandelli), e però è già tempo di apparecchiare il futuro.
E quel futuro, il campo l’ha detto, è già qui: simpatici o antipatici, coraggiosi o sparagnini, gli allenatori della nuova generazione sono già pronti. Qualcuno ha fatto più gavetta (Conte), qualcuno meno (Montella); sono stati giocatori importanti (Stramaccioni no, e per ora è rimasto stritolato; Mazzarri nemmeno, ma ha dalla sua tanta esperienza come vice); soprattutto, hanno vissuto sulla propria pelle la professionalizzazione dei ruoli: l’allenamento è diventato più mirato, gli interventi chirurgici hanno salvato più carriere, e così via.
E così, al giorno d’oggi un “Pepito” Rossi può continuare la sua carriera (lunga: glielo si augura), come un quarto di secolo fa non sarebbe stato possibile. E gli allenatori della nouvelle vague sanno gestire tutto in modo diverso: metodi di allenamento, tempi di recupero, infortuni, psicologia. E i rapporti con i mezzi di comunicazione, anche.
Vero: a volte rimpiangiamo i tempi e la comunicazione spiccia (quella dei Massimino che «Amalgama quanto costa?»), la spontaneità di certe risposte. Non è detto che sia un male; ma di sicuro, nella società degli schermi in cui viviamo, improvvisare è complesso. Probabilmente neanche Mourinho lo fa. Né devono farlo i “nuovi”: è giusto non lasciare niente al caso.
Quindi, la notizia del giorno non è che abbiamo un’italiana ai quarti di Europa League: semmai è sapere quale (dispiacendosi per il Napoli). Il campo ha detto Juventus: sotto gli occhi di un arbitro di punta (Webb), per di più. Ma il campo ha detto anche e soprattutto che, dotati dei giusti mezzi, abbiamo allenatori in grado di crescere ancora, e di darci soddisfazioni. Cerchiamo di non rovinarli.