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Quattro punti sono, nell’era moderna, una vittoria e un pareggio. O quattro pareggi, se vogliamo: poca roba, se proiettiamo tutto su trentotto partite.

Quattro punti decidono tantissimo oggi, in Inghilterra. È un segmento di classifica, un tiratissimo racconto che pagina dopo pagina non vuole sfoltire il numero di protagonisti.

Quattro punti che possono aumentare, però anche diminuire: hai visto mai che ci si trova una corsa a quattro sino alla fine.

Quattro squadre per quattro punti, pensiamoci. Corrono quasi simultaneamente, rallentano una qua e una là, per un campionato che incarna una cosa di cui noi italiani ci siamo vantati a lungo: l’equilibrio, non poter dare mai nulla per scontato, il rischio caduta in qualsiasi campo di provincia.

Hanno rallentato e rallenteranno ancora, ne siamo certi. Chelsea, Manchester City, Arsenal e Liverpool, in una maratona che ha escluso chi nella storia recente ha vinto più di tutti (Manchester United), per includere chi non vince da una vita (Liverpool), lontano comunque dal livello di top team europei come Bayern, Barça o Real Madrid.

Perché se è vero che questa Premier League è il campionato dal livello medio più alto in Europa, è innegabile la separazione che s’è creata tra gli schiacciasassi europei e chi la pagnotta (i punti e la qualificazione alle coppe) se la suda e lavora tutti i fine settimana, tra chi ha un sistema di gioco e un organico di livello mondiale e chi è forte ma resta una spanna sotto: è anche meglio così, vincono spettacolo ed equilibrio.

Ora, per capire chi la spunterà, serve valutare un po’ di fattori. Innanzi tutto, le gambe: se reggono, reggono fino alla fine. Se scricchiolano, son dolori.

Da questo punto di vista, il Liverpool sembrerebbe avvantaggiato, nonostante il quarto posto di stamattina, vista l’assenza delle coppe. Fuori, oltre che dall’Europa, da FA Cup e Coppa di Lega, i Reds hanno un calendario meno intenso, per nulla intasato. Liscio e lineare, diremmo, non fosse per la rosa che è davvero troppo corta, poco esperta nelle riserve, per una coperta che non basterebbe mai, si fermasse un Gerrard o un Henderson. Il settore nevralgico, ora vera sorpresa del progetto di Rodgers (anche per l’inedito ruolo di regista basso disegnato per il capitano dell’Inghilterra), è quello che rischia di scoppiare, mentre altrove la squadra ha già sopportato i lunghi stop (a turno) di Suàrez e Sturridge. Tra voglia di guardare in alto e paura di scivolare, il Liverpool vivrà un vero esame di maturità. La vertigine c’è, la testa dista 4 punti e il quinto posto solo 6.

Il ruolo di favorita spetta al trio, sorprendentemente orfano del Manchester United, formato da Chelsea, City e Arsenal. Delle tre, due scontano un sorteggio continentale tostissimo, mentre i Blues potrebbero andare avanti in Champions League. Il City, vincendo la Capital One Cup, metterà un trofeo in bacheca (che non fa male), che forse sarà benzina per lo spirito. Preoccupa il corpo, anche se la rosa è vasta. Come quella del Chelsea, come quella dell’Arsenal, che però nei confronti diretti ha zoppicato parecchio.

Attenzione dunque a questo campionato, tempio dell’imprevedibilità (puoi scivolare a Swansea o Stoke, una cosa che un tempo si diceva delle nostre province), viaggio a ritmi elevatissimi, che stressano le difese e aumentano la possibilità di errori, che diventa esponenziale: conterà avere chi la butta dentro, recuperare il miglior Ozil della stagione, reagire ai tonfi tirando fuori gli artigli.

Dietro, Spurs, Everton e United un tentativo per agganciare il quarto posto lo faranno. E la geografia del calcio del prossimo anno dipenderà da questa domenica a Wembley: se il Sunderland batte il City (improbabile, non impossibile) porta via un posto per l’Europa League, con le conseguenze del caso.

L’invito allora è seguire queste ultime undici giornate di campionato, coccolarsi un torneo equilibrato e tiratissimo lassù, per capire chi tra Mourinho, Wenger, Pellegrini o Rodgers godrà davvero sino in fondo. E chi s’accontenterà di qualificarsi per la prossima Champions League e magari riprendere la rincorsa ai mostri sacri tedeschi e spagnoli.

Perché undici partite sono tante e poche allo stesso tempo. E ormai può succedere di tutto.

Non ci siamo, con cronache, riepiloghi e riflessioni del caso. Voi? È un quartetto d’archi che vale la pena ascoltare.