Home » Curve chiuse: problema aperto

Durante la trasferta di Amburgo, un sostenitore del Borussia Dortmund ha avuto la brillante idea di gridare ‘Sieg Heil’ durante il minuto di raccoglimento in memoria di un massaggiatore del club di casa. Lo slogan urlato dal tifoso giallonero altro non è che il saluto alla vittoria nazista. L’individuo, da subito identificato dal personale di sicurezza dello stadio, è stato allontanato dall’impianto sportivo, guadagnandosi secondo la legge tedesca tre anni di bando da qualsiasi stadio tedesco.
Sanzione poi inasprita dal club di Dortmund che ha voluto colpire in modo esemplare il colpevole di questo spregevole atto. Per lui infatti l’ingresso al  Westfalen, stadio di casa, sarà vietato fino al 30 giugno 2020.

Il paragone con l’Italia viene un po’ scontato, ma assolutamente inevitabile. Qui gli striscioni spesso raccapriccianti vengono puniti con multe esigue da parte della Lega, mentre la chiusura dei settori degli stadi, inflitta per cori razzisti, incontra sempre forti proteste delle società. Qui è consuetudine sparare petardi, esporre striscioni, liberare fumogeni che a volte bloccano per qualche minuto i match. Qui insomma ai tifosi è consentito fare il bello e cattivo tempo. Facile dedurre quindi che qui rispetto a Germania e resto d’Europa la situazione è diversa, decisamente peggiore.

La Germania, prendendo spunto dal modello inglese, ha saputo sfruttare positivamente l’occasione del Mondiale di casa organizzato nell’anno 2006 per privatizzare e modernizzare i propri impianti sportivi. Oggi gli stadi tedeschi si presentano infatti privi di barriere tra campo e tribune, dotati di efficientissimi impianti video, con sale di controllo occupate dagli addetti della Forza Pubblica.

Il famoso “modello inglese” nasce in Inghilterra per la repressione agli Hooligans iniziata negli anni ’90 con il “Taylor Report”. Queste le sue linee guida:

  • reinventare lo stadio come spazio pubblico e, quindi, la stessa comunità degli sportivi;
  • riscoprire per intero il senso dello spettacolo, anche al di là dell’evento calcistico;
  • porre attenzione alla customer satisfaction dei tifosi, coccolati e trattati come clienti;
  • introdurre strumenti di controllo dei frequentatori degli stadi.

L’approccio al problema, come si vede, non è stato brutale, ma anzi si è cercato innanzitutto di investire sul fenomeno calcistico, rendendo lo spettacolo migliore, appetibile e fruibile in sicurezza.

Prima conseguenza attuativa è stata l’acquisizione, da parte dei club, della proprietà diretta degli impianti. Quindi coinvolgendo le società si è cercato di tutelarle con un sistema sanzionatorio che prevede aspre pene per ogni comportamento deviante all’interno dello stadio.  L’introduzione di oggetti atti a offendere; la declamazione di slogan violenti o razzisti; l’abuso di sostanze alcoliche; l’invasione di campo, sono infatti considerati reati.

Non solo, ma anche comportamenti che nei nostri stadi appaiono del tutto normali (quali: alzarsi troppo dal proprio posto a sedere; eccedere con i gesti o con le urla) legittimano gli addetti alla sicurezza a procedere alla immediata espulsione dall’impianto sportivo e il magistrato a vietare in futuro l’accesso allo stadio di coloro che siano qualificabili come “violenti”.

In Spagna, invece, il controllo viene effettuato attraverso l’ uso degli steward che sono veri e propri tifosi volontariamente posti alle dipendenze delle società di calcio.
In realtà la situazione spagnola è piuttosto tranquilla visto che pur non essendo vietate, le trasferte dei tifosi sono praticamente inesistenti per tradizione.  E’ bastato quindi vietare di introdurre nello stadio bandiere, aste e oggetti simili per controllare i supporter più animati.

In Francia, la situazione è stata affrontata inizialmente nel 1993 con una legge contro la violenza nello sport, integrata nel 2003 da altre severe norme. Dai nostri cugini francesi infatti si rischiano pene severe per comportamenti tollerati in Italia. Ecco alcuni esempi: fino a 5 anni di carcere per chi danneggia beni pubblici; fino a 3 anni di carcere per il lancio di oggetti o l’introduzione nello stadio di coltelli, aste, striscioni, bulloni, catene, fuochi d’artificio, razzi; fino a 1 anno di carcere per l’introduzione di simboli razzisti o xenofobi, per il possesso di bevande alcooliche, per l’invasione di campo; pene minori per chi, nel corso di incontri internazionali, abbia a contestare, anche mediante fischi, l’inno nazionale francese.

Altri nostri vicini come gli austriaci hanno gestito il problema  imponendo alle squadre l’obbligo di provvedere all’ordine pubblico all’interno degli stadi. Alcune squadre hanno quindi sfruttato questo mandato, come l’Austria Vienna che ha stilato un regolamento per l’accesso allo stadio che vieta cori offensivi e striscioni, nonché indumenti idonei a denotare attitudini violente, vietando lo stadio alla frangia più estrema del proprio tifo, gli “Unsterblich”, diffidandoli non solo dal frequentare lo stadio, ma altresì dall’utilizzare simboli e colori del club.

In Belgio, invece, il problema è stato affrontato con un progetto di innovazione: il “Football Fan Card”, in base al quale per l’acquisto di un biglietto è obbligatorio possedere una apposita “carta” dotata di microchip e contenente tutti i dati utili ai fini dell’identificazione del tifoso.
La card, non certo economica, dà diritto all’acquisto di non più di un tagliando per ogni partita e rende l’acquirente personalmente e direttamente responsabile in relazione a eventuali atti violenti o di intolleranza riferibili al posto prenotato ed acquistato.

Diversi quindi gli approcci alla violenza negli stadi in giro per l’Europa, come diverse sono le culture, le tradizioni e le legislazioni delle nazioni. Tuttavia si denota l’impegno dei vari paesi ad affrontare il problema e a reperire una valida soluzione a medio-breve periodo.

L’Italia in questo non può essere un esempio, e nonostante circostanze ed eventi tragici più volte abbiano spostato la lente d’ingrandimento sulla sicurezza negli stadi, finora non si è certo trovata la soluzione dei problemi.

Coniugare repressione e prevenzione senza colpire solo le tasche dei tifosi e investendo nel sistema calcio deve essere l’obiettivo. Un progetto nuovo e lungimirante che porti alla riduzione degli episodi di violenza negli stadi e al riavvicinarsi di una clientela, come la famiglia, che a oggi ha perso attrazione per le partite di calcio. Il miglioramento del clima sportivo, la modernizzazione degli impianti e la loro espansione commerciale e mediatica porterà sicuri benefici ai club e al calcio italiano. Occhi aperti quindi: guardiamoci attorno e prendiamo spunto, non basta chiudere una curva per svoltare.