Quando tifare diventa una questione di civiltà. Ancora curve chiuse per le prossime due giornate di campionato per la Roma, e così si riapre il dibattito. È giusto punire i tifosi per i cori di discriminazione territoriale? E soprattutto, qual è il modo più corretto per farlo?
Deridere gli avversari con sfottò di ogni tipo è da sempre uno dei passatempi principali di ogni tifoso, ma ultimamente, in un contesto in generale poco credibile come il campionato italiano, con le vicende che lo hanno attanagliato negli ultimi anni, è necessario chiedersi se il problema vero siano le prese in giro fuori dal campo, seppur gravi, oppure il frame che sorregge l’intero sistema.
Sanzionare chi sbaglia è lecito, anzi, tassativo. Chi incita alla violenza, o ricorda con ironia stragi come quella dell’Heysel o di Superga, deve essere necessariamente allontanato dagli spalti degli stadi. Ma deve anche vigere una giustizia coerente con le regole in atto e in proporzione alla gravità dei fatti. Gettare oggetti nei settori dei tifosi avversari o agire con violenza e attraverso atti intimidatori, per esempio, è sicuramente più preoccupante di un coro, anche se privo di rispetto.
E in questo caso quali soluzioni vengono trovate? La tessera del tifoso non è che la risposta più ipocrita di fronte all’inciviltà di alcuni fanatici.
Come in Inghilterra: chi sbaglia dovrebbe pagare. Non si etichettano i tifosi in base alla loro provenienza territoriale, ma si identifica chi può rappresentare una reale minaccia.
Così, anche nel caso della discriminazione territoriale, è giusto che ci sia una sanzione, ma è altrettanto vero che non debba essere mascherata da falso buonismo, e soprattutto è d’obbligo che sia coerente e omogenea tra club e club e tra tipologia di penalità.
A questo punto, il modo migliore di avvicinarsi agli standard britannici sarebbe quello di allontanare definitivamente i violenti, dando l’esempio e facendo comprendere agli altri tifosi quello che concretamente rischiano comportandosi in modo incivile e denigratorio.