Cagliari e Udinese, gestioni diverse, anzi: opposte. A partire dallo stadio

Agli antipodi… lontane, quasi antitetiche fra loro. Non tanto per i risultati sportivi che riguardano questa stagione (solo tre i punti che le dividono in classifica) ma in mezzo, fra Udinese e Cagliari, scorre un mondo di differenze legate essenzialmente alla gestione e all’organizzazione del club.

Un modo di far calcio diametralmente opposto. I bianconeri friulani, con una struttura ampia, efficace e magistralmente coordinata; i sardi, con un modus operandi altamente verticistico e con pochi collaboratori. Tutto, comunque, continua ad essere nelle mani di Massimo Cellino. Lo storico presidente ha annunciato una vendita che però ancora non è avvenuta. Si è detto stanco del calcio italiano ed è emigrato in Inghilterra, al Leeds, per tentare l’avventura con il football britannico. Ma le trattative con presunti investitori arabi e americani per l’acquisizione del Cagliari non sono ancora andate in porto. Il delta delle differenze gestionali tra Cagliari e Udinese emerge nettamente quando si parla di stadi: il Friuli è il gioiello bianconero, una casa per la squadra e per i tifosi. Progetto super: inimmaginabile, al momento, per il popolo cagliaritano.

Il Cagliari, per mesi, ha giocato in campi neutri come il Nereo Rocco di Trieste, e successivamente nell’impianto di Quartu, Is Arenas, abbandonato dalla società a giugno 2013. Quindi, un nuovo peregrinare in giro per l’Italia fino al ritorno al Sant’Elia, lo stadio di Cagliari. Ma capienza ridotta e spazio per poco meno di 5000 tifosi.

Di fatto, nulla è cambiato.

Per una squadra che rappresenta l’identità di una terra unica, il calcio non è più uno spettacolo.