Manca un pizzico di Osasuna

Giornata da musi lunghi e conti che non tornano in serie A. Polemiche ridondanti, reiterate e amplificate dall’onda lunga dei media, dalle evidenze comprovate e ribattute sui social network, rimontate fino al limite dell’estenuante. Diciamolo subito, polemiche che hanno ragione di essere, a cominciare da quelle che hanno scosso Juventus–Torino, intorno allo sgambetto perpetrato da Pirlo e non ravvisato dal miope Rizzoli. “Non credo basti un contatto per causare un rigore, ci vuole anche foga”, ha commentato Buffon, e forse tutto sommato potremmo anche crederci, se invece di difendere il proprio mulino, con scarso potere di persuasione di fronte all’evidente volontarietà del gesto sfuggito a Pirlo, si fosse riferito al rigore fischiato in Parma-Fiorentina da Gervasoni, per un contatto tra Tomovic e Biabany ad azione conclusa, oppure per il ridicolo fallo ravvisato da Di Bello ad Udine, ai danni dell’Atalanta, per uno spiffero che ha abbattuto il “furbo” Di Natale in area. “Furbo”, per inciso, lo scrivono quei giornali che poi campano sul rilancio delle polemiche. Quando, a voler fare un atto responsabile, sia di Pirlo che di Di Natale, fermo restando le stellette al merito e l’oscar alla carriera, avrebbero dovuto scrivere ben altro.

Tutti episodi che hanno condizionato le partite di riferimento. Finendo per suggestionare il giudizio del pubblico, ma anche il gusto stesso degli spettatori, ormai poco abituati a veder risolvere le partite grazie al gioco di una squadra, all’iniziativa vincente di un singolo, ad uno schema strategico o all’intensità agonistica riversata in campo. Fermo restando le evidenze degli errori già sottolineate, resta il fatto che il Torino contro la Juventus non ha praticamente tirato in porta. E che forse difficilmente l’Udinese avrebbe rimediato allo svantaggio contro l’Atalanta, senza l’ausilio della massima punizione trasformata dal vecchio bomber.

Un tempo, qualche sorpresa nei pronostici capitava con maggior frequenza. Il Foggia di Zeman, decisamente inferiore nel complesso tecnico alla Juventus, grazie a un gioco brillante e veloce, capitò che riuscì a battere il Golia bianconero, tanto per citare il primo degli esempi che affiorano nei ricordi. Certo, quest’anno Inter e Milan ci hanno fatto vedere più di un capitombolo, ma in corsa per il titolo, nemmeno sono mai state. Oggi, sembra ben più difficile che le prime squadre del campionato possano capitolare contro altre meno dotate. Uscendo dall’esempio della capolista, se ripensiamo alla gara di Bologna, difficilmente possiamo immaginare una Roma battuta dai poveri rossoblu.

In Spagna invece, proprio questo turno ha riservato una doppia sorpresa in vetta alla classifica. Ben due delle tre squadre che dimoravano a pari punti sull’attico della classifica, si son dovute accomodare al piano di sotto, lasciando la suite panoramica al Real Madrid.
A Pamplona, l’Atlético Madrid di Simeone, reduce dal successo di Champions a San Siro, ne ha buscate tre dall’Osasuna, squadra di mezza classifica della Liga. A San Sebastian, nemmeno cento chilometri di distanza, stessa sorte anche per il Barcellona di Messi, contro la Real Sociedad. Quel che colpisce, è l’entità della sconfitta: non un gol di misura – magari frutto di un rigore episodico – ma ben 3, in entrambi i casi. Segno forse, che altrove si gioca con un’intensità, un agonismo e un trasporto, andato perduto nel nostro campionato, forse smarrito in qualche doppio fondo tattico e attendista, che limita gli impeti delle squadre nostrane a scarse mezzore di vigore ginnico sostenuto.

In Serie A, l’eccesso di rigore (o la sua mancanza) causa problemi, e questo è un fatto. Ma, se non vogliamo perdere il contatto con la parte più bella di questo gioco, mettendo da parte le faziosità personali e i fanatismi fideisti – che a unirne tutti i puntini, danno luogo all’immagine della decadenza del calcio italiano – a cominciare dagli appassionati, è necessario rivendicare qualcosa in più dai protagonisti in campo per ravvivare uno spettacolo ormai povero di speziature aromatiche.
Un pizzico di Osasuna, magari.

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Paolo Chichierchia