Venti minuti. Lunghi tre giorni

Possono venti minuti durare tre giorni? Parrebbe di sì, da qualche parte del mondo.

Chiedetelo al buon vecchio Arsène Charles Ernest Wenger, da una vita allenatore dell’Arsenal: sabato ha vissuto venti giri di lancette lunghi una vita.

Nel lunch match della Premier League, infatti, la squadra del nord di Londra è stata schiantata da un Liverpool che definire sorprendente sarebbe ingenuo. Dalla doppietta, pronti via, di uno Skrtel in insolita versione goleador al poker quando non se ne era andato nemmeno un quarto di partita il passo è breve: sfido chiunque anche solo a pensare di immedesimarsi nell’alsaziano. Che deve aver provato sensazioni particolari.

E dire che alla vigilia, da più parti, si temeva l’impatto del centrocampo leggero del Liverpool con quello dei Gunners, più adatti alla sfida nonostante le assenze. Nulla di più falso, contro un Liverpool sostanzialmente “ingiocabile” e allora eccoci qui, a parlare di come umanamente da una sconfitta così si possa ripartire.

Perché innanzi tutto bisogna provarci: il campionato non si ferma, non dà tregua è frenetico. Già da mercoledì alle 20:45 arriva lo United, che non sta benissimo ed è alla disperata caccia di punti. Si salvi chi può, perché gli strascichi di quei venti minuti lunghi tre giorni li sentirebbe chiunque.

Da noi, oggi è giorno di Coppa Italia. Non mi dilungherò, anche per non annoiare l’incolpevole lettore, sulla questione della formula, o sulle ipocrisie di chi non ci tiene se e solo se viene eliminato: la gente ha già giudicato, e ci sono delle semifinali niente male.

Si parte oggi, con un Fiorentina-Udinese che tutto un programma. Firenze, tra infortuni illustri e programmi di grandezza, procede timidamente verso una finale che manca da troppo tempo, per dare a Montella una gioia meritata. Il progetto c’è e piace tantissimo; ha delle pecche, ogni tanto si inceppa eppure la squadra è lì, a un passo dal posto Champions e in corsa in Europa League.

Per la viola, una finale di Coppa Italia vorrebbe dire il gran gala dell’Olimpico, un’occasione per rivivere la grandeur dell’era che fu. Mi piace citare la formazione dell’ultimo successo, nell’edizione 2000-2001 (gara di ritorno): Toldo, Řepka, Adani, Pierini, Moretti, Rossi, Amaral, Di Livio, Vanoli, Rui Costa, Chiesa. Con l’ingresso di Lassissi, Nuno Gomes e Bressan, la panchina di Mijatović. Allenava Roberto Mancini, che di Coppe Italia se ne intendeva.

Brividi veri davanti ai nomi del trionfo precedente. Ma per davvero: Gabriel Omar Batistuta basta per tutti.

La stessa Udinese, criticata da mezza Italia per le incolori prestazioni a livello continentale degli ultimi anni, guarda alla semifinale di ritorno con l’interesse di chi forse non ha altre vie per l’Europa, con la grinta di chi un trofeo del genere non l’ha vinto proprio mai.

Dare il massimo per 90′ (ma ne bastano anche 20′, se fatti alla moda di Anfield), costruire dal 2-1 dell’andata, far mostrare gli artigli a questa vecchia e malconcia Coppa Italia: appuntamento per le 21 al Franchi.

In attesa che domani Napoli e Roma chiariscano cosa vogliono fare da grandi. Perché anche lì ci sarebbe molto da dire.

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Matteo Portoghese