Tra Coppa Italia e voglia di vincere

Alla fine torniamo sempre a parlarne. Non è una fissazione, è che viene naturale: la Coppa Italia dà, la Coppa Italia toglie.

Dopo una metà settimana passata a godersi la pseudo-normalità di due semifinali giocate da gente che ci teneva davvero, la palla un po’ diversa e di colore arancione ci ha ricordato cosa significhi giocarsi un titolo “domestico”, immediato, veloce.

Sia chiaro, la formula della Final Eight del basket è impossibile da riprodurre quando il campo diventa grande, verde e capace di contenere ventidue giocatori, eppure l’immagine di chi gioca ogni azione come non ci fosse un domani rende giustizia all’onore di una coppa nazionale.

Questa Coppa Italia di calcio, parliamone, la vogliono vincere Roma e Napoli. Sulle ali dell’entusiasmo la prima, perché le cose girano bene e la Juve non è poi così lontana in campionato; col fiato corto e le orecchie che fischiano l’altro, forse troppo prematuramente bocciato dai tanti che gli allenatori stranieri li aspettano al varco e alla prima crisi ridono allegramente.

Un po’ di calma aiuterebbe a giudicare questa stagione per quello che è, con la coppa meno importante di tutte improvvisamente capace di salvare situazioni, progetti tecnici, sospendere giudizi. E anche dall’altra parte: Udinese e Fiorentina devono dare un senso a questo 2013-2014, tra rimpianti per cicli finiti e infortuni dei top player.

Nel giorno di Napoli-Milan, la testa di tutti andrà a ritorno martedì 11 e mercoledì 12, col Napoli pronto a sfruttare i gol in trasferta e il Milan disposto a tifare Fiorentina, una cui vittoria aprirebbe le porte dell’Europa (anche) alla sesta del campionato.

Manca ancora una vita e Seedorf ha appena iniziato, dalla decima alla sesta piazza il percorso è breve, pur pieno di ostacoli: una vittoria al San Paolo rilancerebbe cuori e ambizioni, ispirerebbe fiducia in questo allenatore che in fin dei conti era sì un allenatore in campo, ma non in giacca e cravatta.

Tutta un’altra cosa adesso e Clarence lo sa: a lui il compito di spezzare la monotonia di una stagione grigia, triste, spenta e monocorde. Un po’ come il periodo recente del Napoli, che prima che riparta l’Europa League (contro uno Swansea in pieno caos dopo l’esonero di Laudrup) ha bisogno di punti. E di galvanizzarsi, se è vero che non fa male battere una big, per incerottata che sia.

Lo stato d’animo del Napoli, sospeso tra una tiepida e poco accesa lotta alla Roma per il secondo posto e la difesa del terzo dall’assalto della Fiorentina, dipenderà anche dall’aggancio o meno, un’ora prima, della Fiorentina bella ma incompleta di Montella. Se la Viola, che sta per rimettere Gomez nel motore e ospita la non irresistibile Atalanta formato trasferta, si sarà rimessa in sella, per Benitez diventerà davvero dura, con l’umore sotto i tacchi e gli incubi pronti a diventare realtà.

Ed è qui allora che Benitez deve tornare Benitez, il motivatore che rimette in piedi le squadre, l’uomo che la rivoluzione tattica post-mazzarriana la sospende per puntare sul solido e concreto risultato, sul terra terra che calma una piazza: appuntamento per le 20:45 in uno stadio delle Notti Magiche. Perché di magia ne servirà.

Questo sabato e questa domenica ci regaleranno una classifica più chiara e delineata, scioglieranno nodi di cui stancamente non riusciamo a venire a capo, disegneranno forse una nuova geografia della Serie A 2013-2014. E dopo sarà coppa, dentro o fuori, senza domani.

Ci chiederemmo allora chi, smaltite le semifinali di ritorno, oserà sminuire il prestigio di questa piccola nostra Coppa Italia: solo chi avrà perso, probabilmente.

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Matteo Portoghese