Alla fine è arrivato l’anno di grazia. Cinque anni dopo la prima volta, Cristiano Ronaldo torna a vincere il Pallone d’oro e si scioglie in lacrime. Con lui piangono la madre e la bella Irina, in uno scintillìo di lucciconi riflessi sul grigio lucido del completo da cerimonia del portoghese, che, dopo gli abiti pulp di Messi, ha quantomeno riportato la sartoria al centro del villaggio.
Chissà se il nuovo trofeo andrà ad aggiungersi agli altri, nel Museo di Cristiano Ronaldo, aperto qualche settimana fa dal portoghese stesso nella natìa Funchal, per rilanciare il turismo dell’arcipelago di Madeira. Ci sono già il pallone d’oro del 2008, due scarpe altrettanto d’oro e ben 26 palloni autografati dai compagni, portati a casa dopo ogni tripletta.
Se Messi rappresenta il prototipo del moderno scartatore sudamericano dal baricentro basso (per capirci, quello rapido nello spazio e micidiale nell’esecuzione, erede delle giocolerìe palleggiate e morbide di Maradona), Cristiano Ronaldo è l’incarnazione del campione europeo dal fisico scultoreo ma dotato anche di un dribbling affinato dagli allenamenti, potenza di tiro e dominio della balistica, capacità di interpretare più ruoli in campo e temperamento forgiato. Un repertorio completo, di cui si è giovato il Manchester United prima e oggi il Real Madrid, almeno per quanto riguarda il numero di gol segnati. Certo, in stagione è mancata la vittoria di un trofeo continentale o mondiale e intorno a questo punto s’addensano le recriminazioni di chi voleva premiato Ribery o Robben, se non ancora Lionel Messi. A questo punto la domanda è: esiste un criterio di correlazione tra bilancio annuale e assegnazione del trofeo, oppure possiamo davvero considerarlo un riconoscimento a chi è stato il miglior calciatore del mondo? Nel secondo caso, non ce ne voglia quell’ottimo giocatore che è Ribery, ma in Cristiano Ronaldo c’è la stoffa dei più forti campioni di ogni tempo e degli eroi nel vento. Dei Puskas o dei Ronaldo (l’altro, quello dò Brazil), dei Van Basten o dei Baggio. O degli Eusebio, per tornare al nostro Cristiano, che ha voluto ricordare il grande connazionale appena scomparso, in un’ideale staffetta tra campioni lusitani nelle pagine della storia del calcio.
Ricco, bello, famoso, super pagato e qualche anno fa dilagante nelle apparizioni pubblicitarie, con un appeal da icona del marketing pari a quello che, in altri tempi, ebbero un Sean Connery o una Brigitte Bardot. Alle spalle, un’infanzia mica facile, con il dramma del padre alcolista, perso a vent’anni, e le difficoltà del fratello, di cui ha finanziato la disintossicazione. Forse sono qui le basi di un carattere forte, di un’ostinata ricerca del perfezionismo e di un’ atteggiamento che spesso appare auto celebrativo, salvo poi farsi lacrima di fronte ad un’emozione tracimante, come quella di ieri a Zurigo.
Difficilmente tuttavia l’orgoglio di Cristiano Ronaldo si sentirà sazio, dopo la conquista del premio. Tra lui e Messi, Ribery ed Ibrahimovic, la sfida è ancora aperta, in Champions League. C’è motivo di credere che il prossimo obiettivo del portoghese sia quella legittimazione a posteriori che gli darebbe una vittoria. Cristiano Ronaldo, da solo ha vinto. Ora però deve dimostrare di saperlo fare anche con il Real Madrid. Altrimenti qualcuno potrebbe pensare che non basti segnare 66 gol in stagione, per meritarsi davvero il Pallone d’oro, no?