Durante gli anni ’70 e ’80, un’utopia calcistica accompagnò l’Unione Sovietica, al pari di altri aspetti della vita sociale e politica. In particolare, fu nella città ucraina di Kiev (più di due milioni e mezzo di abitanti) che prosperò un credo calcistico molto particolare e per diversi aspetti contiguo alla coeva rivoluzione olandese di Rinus Michels: l’ideale calcistico del colonnello Valerij Lobanovsky, che a partire dal ’73, allenò la Dinamo Kiev, a più riprese, per vent’anni.
Nella Dinamo Kiev confluirono i migliori talenti dell’allora Unione Sovietica. Plasmando questa materia umana, Lobanovsky diede vita ad un modello calcistico a suo modo unico. Per descrivere il calcio di Lobanovsy, si è spesso parlato di “laboratorio” e di “calcio del 2000”. Fu il primo ad introdurre il computer nell’analisi di una partita e di un allenamento. Alla base, vi era il coinvolgimento di specialisti d’eccezione, nella ricerca di un metodo scientifico. Per analizzare le partite, Lobanovsky si avvalse del professor Anatoly Zelentsov, un bioingegnere insieme al quale riportava su basi scientifiche i risultati degli allenamenti. Dividendo il campo da gioco in nove quadrati minori, insegnava ai giocatori dove passare la palla, ancor prima che ricevessero il pallone. Poiché tutto è riducibile a numero, sosteneva Lobanovsky, studiando le occorrenze statistiche, si sarebbero rivelati anche gli algoritmi migliori per raggiungere i successi desiderati. Assertore della necessità di formare calciatori universali, era convinto che si sarebbe arrivati ad abolire i ruoli fissi e i giocatori specializzati, fermo restando le inclinazioni basilari di ciascun giocatore.
Per quanto riguardava invece la preparazione fisica, il colonnello si affidò al professor Petrowsky, mago dell’atletica leggera e preparatore dei velocisti russi, come Borzov, vincitore dei 100 metri alle Olimpiadi di Monaco ’72. A differenza di quanto avveniva in Olanda, dove pressing e fuorigioco erano le parole chiave della rivoluzione calcistica, Lobanovsky, attraverso l’interscambiabilità dei calciatori e la reiterazioni di schemi mnemonici e molto rapidi, puntava su una visione collettiva della squadra e su riflessi allenati fino al limite dell’automatismo cibernetico degli undici in campo.
L’anno di grazia della squadra fu il 1975, quando la Dinamo Kiev vinse campionato sovietico, Coppa delle Coppe e a seguire la Supercoppa europea contro il Bayern Monaco di Beckenbauer, mentre l’attaccante Oleg Blochin si guadagnò il Pallone d’Oro. Per la prima volta, una squadra sovietica si imponeva in un trofeo continentale.
Dopo un percorso che aveva visto capitolare contro i sovietici prima il CSKA di Sofia, poi l’Entracht di Francoforte, i turchi del Bursaspor e gli olandesi del PSV Eindhoven, in finale la squadra di Lobanovsky schiantò gli ungheresi del Ferencvaros per 3-0, con una doppietta di Onyščenko e una rete di Blochin.
Di seguito il tabellino:
14/05/1975, Basilea – St. Jakob Stadion,
Dinamo Kiev: Rudakov, Troskin, Matvienko, Resjko, Fomenko, Muntjan, Konkov, Burjak, Kolotov, Oniscsenko, Blochin. Allenatore: Valery Lobanovsky.
Ferencvaros: Géczi, Martos, Megyesi, Pataki, Rab, Nyilasi (60° Onhaus), Juhász, Mucha, Szabó, Máté, Magyar. Allenatore: Dalnoki Jenő
Marcatori: 18° Oniscsenko; 39° Oniscsenko ; 67° Blochin.
Qui, il video della gara .
Undici anni dopo, nell’86, la stessa squadra e lo stesso allenatore bissarono l’impresa in Coppa delle Coppe, con un altro 3-0, stavolta ai danni dell’Atletico Madrid di Aragones. Ancora una volta, andò in gol Blochin, stavolta affiancato da Zavarov e Evtusenko. In precedenza, la Dinamo Kiev aveva superato gli olandesi dell’ Utrecht, i rumeni dell’ Universitatea Craiova, il Rapid Vienna e il Dukla Praga. Rifilando raffiche di gol ad ogni avversario. Quell’anno, a vincere il pallone d’oro fu un altro giocatore della Dinamo Kiev: Igor Bjelanov.
Di seguito il tabellino della finale:
Stade de Gerland, Lyon
Dinamo – Atlético Madrid : 3-0
Marcatori: Zavarov 5′, Blochin 85′, Yevtushenko 88′
DINAMO KIEV: Viktor Chanov, Volodymyr Bessonov, Sergei Baltacha (38′ Andriy Bal), Oleg Kuznetsov, Anatoliy Demyanenko (c), Vasiliy Rats, Pavel Yakovenko, Ivan Yaremchuk, Aleksandr Zavarov (70′ Vadym Yevtushenko), Igor Belanov, Oleg Blochin. Allenatore: Valeri Lobanovsky
ATLETICO MADRID: Ubaldo Fillol, Tomás (c), Juan Carlos Arteche, Miguel Ángel Ruiz, Clemente, Julio Prieto, Quique Ramos, Roberto Marina, Jesús Landáburu (61′ Quique Setién), Mario Cabrera, Jorge da Silva. Allenatore: Luis Aragonés
Qui, il video della gara .
Gran parte di quella squadra componeva anche la nazionale russa, che arrivò in finale agli europei dello stesso anno, schiacciando prima l’Italia con un netto 2-0 per poi arrendersi solo contro l’Olanda di Gullit e Van Basten, allenata da Michels. In quella finale europea, due prestigiose scuole continentali, sotto alcuni aspetti simili, si erano affrontate in una partita che sembrava delineare gli scenari futuri del calcio. Vinse la squadra che disponeva probabilmente dei maggiori fuoriclasse in campo.
A stravolgere le sorti magnifiche e progressive di Lobanovsky, intervenne in quegli anni la Perestrojka di Gorbaciov e l’apertura delle frontiere che portò i big della Dinamo Kiev verso ricche avventure, con alterne fortune, come nel caso del fantasista Zavarov alla Juventus.
L’ultimo dei figliocci calcistici di Lobanovsky, fu Andrij Shevchenko, che dal colonnello imparò molto, anche in termini di disciplina (si dice che prima di incontrarlo, fumasse una trentina di sigarette al giorno). Anche per Shevchenko, seguendo i dettami tecnico-atletici di Lobanovsky, arrivò il pallone d’oro.