È la storia che si compie. Di continuo, dal 1882-83 ad oggi: le nazionali di cricket di Inghilterra e Australia si affrontano per la conquista delle Ashes (le ceneri, ndr), nella competizione internazionale più antica del mondo.
Vero che esistono Coppa del Mondo, campionato nazionali e altri grandi palcoscenici, ma per un australiano o un inglese battere gli storici avversari ha il sapore del trionfo, ha priorità su tutto.
Poco importa, allora, se per esempio l’Inghilterra non ha mai vinto il mondiale (nel 1992 ultima finale, persa a Melbourne contro il Pakistan), o se nel 2011 è uscita ai quarti di finale con l’India in quel di Ahmedabad, giocarsi le Ashes conta più di tutto.
Nulla mette in gioco la rivalità fra inglesi e australiani come fa questa manifestazione, vinta dagli inglesi nelle ultime tre serie. In particolare, significativo era stato l’exploit dello scorso autunno, con la squadra capitanata da Alastair Cook vincente con 3 successi e 2 pareggi, fra dominio iniziale e condizioni meteo prepotenti e primitive.
Forse troppo euforica, certo mal riposta: gli Aussies si sono rivelati glaciali, cinici e perfetti nella serie successiva, giocata a cavallo fra l’anno vecchio e quello nuovo. Ecco allora, da Brisbane ad Adelaide, da Perth fino a Melbourne, passando per il Sydney Cricket Ground, il 5-0 che fa la storia, umilia gli avversari più odiati, cancella il tonfo recente e rilancia le ambizioni dei quattro volte campioni del mondo.
Tornano dunque in terra australiana le Ashes, simbolo di una disciplina che in varie parti del mondo è sport-mania, incarna lo spirito di un’era che forse non c’è più, imita gli spettacoli globali e di massa con la Champions League e altri eventi forse lontani dall’idea originale dei gentlemen che giocano a cricket.
E che si dannano l’anima per riportare “a casa” le ceneri.