Ho sempre amato scrivere sui campioni già costruiti, già fatti, quelli che ti danno una storia da raccontare. Sicuramente è più facile.
Di recente, però, ho pensato che avrei dovuto cercare di approfondire il talento di Juan Manuel Iturbe Arevalos.
La nostra vecchia Serie A, saccheggiata dagli sceicchi, con stadi semi deserti e inguardabili e con società indebitate, ha ancora tempo per la poesia.
Sì, perché il mancino di questo 20enne è… poesia.
C’è già molto di affascinante nella breve storia di questo paraguaiano-argentino.
Se non hai quel quid, difficilmente due nazionali così prestigiose sgomitano per averti; se non hai quel talento, difficilmente facevi da sparring partner alla nazionale argentina mentre si preparava a Sudafrica 2010, a soltanto 17 anni.
Se non sei un po’ matto, o più che sicuro dei tuoi mezzi, non dici “no” a un certo Alex Ferguson, che voleva prenderti quando eri un poppante.
Se non sei un predestinato, insomma, non diventi un simbolo di una squadra come il Cerro Ponteno, un club da 29 campionati vinti e 6 semifinali di Libertadores.
Il mal di pancia gli viene presto. Viene addirittura messo fuori rosa e quando viene reintegrato ne mette due contro il Colo Colo in Libertadores. Pazzesco.
Papà Juan Del Carme ha sempre saputo la grandezza del suo bambino, e ha fatto annusare il suo talento a tutta Europa, cedendo soltanto al Porto.
Lì non va proprio benissimo, ma intanto questo piccolo genio brucia le tappe.
Al River Plate alterna spettacolo a pause che rispecchiano la giovanissima età. Segna tre gol in 17 partite, uno, il più importante, all’Independiente, non proprio il miglior amico del River.
Dopo che il Tata Martino lo fa esordire addirittura nel Paraguay dei grandi, l’Albiceleste se lo prende, scatenando una guerra fra le due federazioni.
Intanto i soprannomi abbondano, da “Iturbo” a “El Messi Guarani”, fino ad arrivare a “Iturbessi”.
Oggi dirige l’ orchestra della grande sorpresa del campionato, un Verona che fa punti e dà spettacolo, mirando all’Europa League. Il riscatto è fissato a 8 milioni, ma c’è già un mondo che lo segue.
Lui si gode i suoi 997 minuti segnati con 4 perle realizzate, e sa di avere il futuro in mano.
Non lo realizzò quando il signor Messi gli fece i complimenti nel mezzo delle esibizioni pre Sudafrica, perché chi ha quel quid sa di possederlo da sempre.
Pedro Troglio gli ha fatto da secondo padre e lo ha lanciato nel mondo del calcio e io, insieme a Mandorlini, me lo godo in Italia, anche se temo che sarà per poco.
Già, perché in un campionato da sbadigli nel quale le uniche cose buone del derby della Madonnina sono un colpo di tacco e la treccia di un extraterrestre, io scelgo Iturbe e vedo ancora inchiostro in un pennarello quasi asciutto.