“Il calcio per noi non è soltanto un fatto sportivo. È un fatto sociale. È un fatto che rappresenta la pedina di lancio per una provincia che per troppo tempo era rimasta in disparte. Per questo faremo di tutto perché la bella favola continui.”
Così il compianto Costantino Rozzi descriveva l’ascesa dell’Ascoli Calcio negli anni ’70/’80. Una delle società calcistiche italiane più antiche, fondata nel novembre 1898, che però fino agli anni ’60 poteva vantare solo campionati di serie C, accesi dai “bollenti” derby giocati con la Sambenedettese.
La bella favola si è spenta pochi giorni fa, non su un campo di calcio ma sui banchi di un Tribunale che ne ha sancito il fallimento dopo 115 gloriosi anni. Ironia della sorte una sentenza arrivata il 18 dicembre, proprio il giorno in cui ricorreva l’anniversario della morte del suo presidente storico, il sopracitato Rozzi, che aveva trasformato una “provinciale” in una presenza fissa nel calcio d’elite con le sue 16 partecipazioni alla serie A e i record infranti in Serie B.
Non è certo la prima società a fallire, né sarà l’ultima: una sorte già toccata a molte squadre italiane (Fiorentina, Piacenza, Avellino per citarne qualcuna) e straniere (i Rangers di Glasgow su tutte). E non è nemmeno la prima marchigiana a esser “sconfitta” solo da un giudice fallimentare: prima dell’Ascoli, infatti, lo stesso destino era toccato a due storiche rivali bianconere come Ancona e Sambenedettese, oltre che a Vis Pesaro, Civitanovese, Maceratese, Sangiorgese e tante altre piccole società. E, seppur mai fallita, anche l’altra protagonista di caldi derby col “Picchio”, la Fermana, negli ultimi dieci anni ha dovuto rifondare già due volte.
Un elenco che non esclude praticamente nessuno e coinvolge tutti i maggiori club regionali che nel dopoguerra hanno animato da protagonisti i campi di calcio dalla C alla Serie A.
Una crisi che rischia di coinvolgere anche il basket, con il declino della Victoria Libertas Pesaro priva del suo storico sponsor e con una Sutor Montegranaro ridimensionata dopo le brillanti stagioni post promozione. E che ha già travolto la Sangiorgese basket, passata dal lottare per la A1 ai campionati regionali. Non sembra arrestarsi invece la favola della Lube Macerata nel volley, “prova provata” che con un serio progetto alle spalle si può fare ancora sport di squadra ad alti livelli in regione ottenendo seguito e risultati prestigiosi.
Con il fallimento dell’Ascoli le Marche perdono dunque l’ultima rappresentante nel calcio professionistico: come spiegare un simile tracollo? Non mancano le piazze calde, benché meno l’amore per lo sport, però si fatica a trovare imprenditori disposti a investire sul territorio con passione e con un progetto duraturo. Al contempo anche gli stessi tifosi sembrano essersi “raffreddati” dopo i bollenti anni ’70/’80, dove stadi e palazzi di tutta la regione venivano letteralmente sommersi e partivano orde di pulman per seguire i propri beniamini anche in trasferta. Era un’Italia diversa, in crescita, in lotta e forse meno impigrita, che la domenica viveva lo sport sul campo.
“Perché perché la domenica mi lasci sempre sola per andare a vedere la partita di pallone perché perché una volta non ci porti anche me.” cantava Rita Pavone. Già, perché non andare tutti insieme? Al giorno d’oggi più nessuno se lo domanda. Le partite trasmesse sulle pay tv, dirette gol, programmi, approfondimenti e moviole, oltre che leggi sempre più restrittive e burocraticamente insostenibili, hanno pian piano inchiodato il tifoso moderno al divano, svuotando gli stadi e facendo perdere ai “piccoli” palcoscenici di provincia il calore del pubblico. Le nuove generazioni preferiscono “godersi” la partita al caldo col telecomando in mano piuttosto che scaldando col proprio tifo la squadra del cuore. E in un contesto simile è anche normale che gli imprenditori siano meno propensi a “scendere in campo”, finendo per farlo magari con realtà più grandi. Della Valle docet.
Chiaramente il fenomeno non investe solo le compagini marchigiane ma l’Italia tutta. Però nelle Marche, che altro non sono che tante realtà di provincia spesso rivali tra loro, ha finito per travolger tutto e tutti, spegnendo di anno in anno i molteplici focolai. Bellissime favole che non solo meritano di esser raccontate, ma anche rivissute dalle nuove generazioni.
Ripartire dunque, ma da dove? La risposta, come spesso accade in questi casi, la si trova allo specchio e siamo noi. Imparare dal passato e da chi ci ha preceduto, tornando a rivivere lo sport nei suoi templi, sfoggiando orgogliosi i vessilli della nostra squadra e non lasciando che serie o risultati negativi ci scoraggino o allontanino. Perché lo sport è bello in qualsiasi categoria venga giocato, come insegna l’F.C. United di Manchester. Una strada già intrapresa dall’Ancona 1905 e dai suoi tifosi, che di promozione in promozione stanno dimostrando che è questo l’esempio da seguire. O, ancora, dalla neonata Nuova Sangiorgese. Strada su cui gli stessi supporter dell’Ascoli sembrano aver già deciso di incamminarsi, con collette e iniziative volte a riempire lo stadio.
Senza ovviamente mai scordare gli insegnamenti e le parole di personaggi positivi come Rozzi, perché aveva ragione nel dire che lo sport è un fatto sociale e, checché se ne dica, aggrega e promuove più di quanto divida. E, aggiungo io, è incredibilmente più bello se vissuto in compagnia e circondato da gente con la tua stessa passione.