Miro, nato per fare gol
Doveva soltanto tornare lui.
Ebbene sì, perché Miroslaw Marian Kloze ha sempre avuto chiaro in testa quale era il suo compito su questo pianeta.
Il sangue da sportivo lo ha sempre avuto, grazie a papà Jozef e a mamma Barbara, ex calciatore di buon livello lui, ex portiere di pallamano lei.
Certo, Miro ha fatto “leggermente” meglio.
Fin dai primi passi nel modesto Homburg, il polacco più tedesco di tutti ha sempre avuto un rapporto particolare con il massimo prodotto del calcio, il gol.
Si diceva che sapesse fare soltanto questo, che era solo un attaccante adatto agli ultimi 16 metri, non di più.
Ma lui intanto continuava a segnare.
Ventisei gol in cinquanta partite al Kaiserslautern B furono sufficienti per farlo approdare nella squadra A. Da li in poi un’ascesa vertiginosa, fatta di 121 gol in Bundesliga con le maglie di Werder Brema, lo stesso Kaiserslautern, e il Bayern Monaco.
E poi, poi la Nazionale.
Dei 68 goal in 130 presenze con la maglia della Germania – non sia mai quella della Polonia – ben 14 sono realizzati nelle fasi finali di un Mondiale.
Una storia che inizia a Sapporo, quinta città del Giappone, nella serata del primo Giugno 2002. Quella notte Miro ne fece 3 all’Arabia Saudita, iniziando il suo rapporto di amore e odio con la più grande manifestazione calcistica. Se non fosse stato per Ronaldo. Proprio quel Mondiale e quel titolo di capocannoniere che nell’edizione nippo-coreana gli vennero scippati dal Fenomeno, sotto gli occhi impotenti di Miro e di Kahn, che dopo aver trascinato quella squadra fino all’ultimo atto, venne buggerato sul più bello.
Quattro anni dopo, il titolo di Capocannoniere se lo prese il falso polacco, ma la Coppa ce la prendemmo noi. Si, proprio noi italiani.
Nell’ultimo Mondiale, quello Sudafricano, Miro ne mise altri quattro, ma a fermarlo fu uno spagnolo che con il gol c’entra pochino, un certo Charlie Puyol, in quell’occasione decisivo anche nell’altra area oltre che nella sua.
Klose è arrivato a 14 reti come un altro che il vizietto del gol ce l’aveva, Gerd Müller. Che record! Anzi no. Che ingordo quel gordo. Ronaldo ne ha fatti 15. Maledetto.
Difficilmente però, l’attaccante nato a Orepo il 9/06/78, si arrende.
Brasile 2014 il suo obbiettivo. Proprio il paese natìo di Ronaldo, per superarlo.
Per questo da due stagioni e mezzo ci delizia in Italia, in particolare lo fa nella Roma biancoceleste. Ha fatto anche ricredere chi pensava che fosse soltanto un finalizzatore, e ci è bastato poco.
Ventotto gol in Serie A in due anni e due soltanto in questa stagione, in mezzo a un’operazione al piede e a un infortunio alla spalla. Gli ennesimi.
Entrambi bastevoli per far fischiare e contestare una Lazio ritenuta alla fine del suo ciclo e alla canna del gas, dopo il gol di Lulic quel 26 maggio indimenticabile.
Ora, il ritorno in campo con il Livorno, in una partita nella quale tutti erano a rischio, da una parte e dall’altra. Due gol.
Entrambi bastevoli per ridare sorriso e linfa alla Lazio, di colpo rinata e libera, come Olimpia, l’aquila che ha ricominciato a volare.
Tutto grazie a un polacco, nato per fare gol.
Cavolo, un tedesco.