Tra gli inizi del ‘900 e nell’intervallo tra le due guerre mondiali, è esistito un tempo, ormai remoto e pioneristico, in cui il calcio italiano venne svezzato nel cosiddetto “Quadrilatero Piemontese”. A far da balia all’italico pallone non furono tanto Juventus e Torino, quanto altre squadre dell’ Oriente Piemontese, il cui ricordo oggi è memoria in un vento lontano. Detto del Novara , raccontiamo brevemente degli altri vertici di questo storico quadrilatero.
La più brillante di queste squadre fu senz’altro la Pro Vercelli. Fondata addirittura nel 1892, le “Bianche Casacche” possono vantare ben sette scudetti, vinti tra il 1908 e 1922.
Il primo titolo fu vinto con lo “status” di neopromossa, impresa mai più ripetutasi. I campioni vercellesi si ripeterono in quattro delle cinque seguenti stagioni: 1909, 1910-11, 1911-12, 1912-13.
Nella serie, manca lo scudetto del 1909-1910, allorché, in polemica con l’Internazionale, per non aver accettato il rinvio dello spareggio per l’assegnazione del titolo, che si sarebbe dovuto disputare mentre gran parte dei giocatori vercellesi era sotto servizio militare, la Pro Vercelli scese in campo con la Squadra Ragazzi, composta da calciatori sotto ai tredici anni (tra cui il decenne Mario Ardissone), che perse inevitabilmente per 10-3.
Nel maggio 1913, ben nove giocatori su undici dell’Italia che affrontò il Belgio, vincendo per 1-0, erano provenienti dalla Pro Vercelli (Innocenti, Valle, Ara, Milano I, Leone, Milano II, Berardo, Rampini I e Corna).
Gli ultimi due scudetti, vennero al termine della prima guerra mondiale, tra il 1920 e il 1922.
Caratteristica della Pro Vercelli, era quella di dare ampio spazio a giocatori provenienti dal territorio della provincia, un po’ come accade all’ Athletic Bilbao. Tra i calciatori che raggiunsero anche l’alloro mondiale nella Nazionale di Pozzo, si ricordano Virginio Rosetta, Silvio Piola e Pietro Ferraris.
La Pro Vercelli, dopo aver abbandonato nella stagione 1934-35 la serie A, si è riaffacciata dalle nebbie della storia, approdando in serie B nella stagione 2012-13.
Anche il Casale, riuscì nell’epica impresa di vincere uno scudetto. La squadra di Casale Monferrato, che indossava una maglia nera, decorata da una stella bianca sul petto, s’aggiudicò lo scudetto nella stagione 1913-14. Nata nella palestra di un istituto tecnico, per iniziativa del preside Raffaele Jaffe, la squadra nerostellata fu la prima squadra italiana a battere in amichevole una formazione inglese. Accadde nel 1913, quando il Casale superò per 2-1 il Reading, la squadra dei maestri inglesi che poi durante la propria tournèe italiana avrebbe battuto il Genoa, il Milan, la Pro Vercelli e finanche la Nazionale Italiana.
L’anno successivo, la storica conquista del titolo. Dopo aver vinto il girone ligure-piemontese a scapito della Pro Vercelli, nel girone finale dell’Italia Settentrionale, il Casale superò, tra le altre, Genoa, Inter, Juventus. La finale nazionale, disputata contro la Lazio, non ebbe storia: all’andata i nero stellati si imposero con un drastico 7-1, mentre al ritorno, si accontentarono di un “semplice” 2-0. L’ultima presenza del Casale in serie A, risale alla stagione 1933-34. Insieme alla Novese, fu l’unica squadra non appartenente ad un capoluogo di provincia ad aggiudicarsi un tricolore.
Fu invece tragico il destino del proprio fondatore, Jaffe. Ebreo convertito, nel periodo della seconda guerra mondiale, nonostante l’adesione alla religione cattolica, venne arrestato, detenuto in un campo di prigionia e infine deportato ad Auschwitz, dove morì nel 1944.
Rimase senza titoli ma fu spesso presente in Serie A, anche più recentemente rispetto alle altre suddette squadre, l’Alessandria. Tra il 1929 e il 1960, disputò ben tredici stagioni in serie A. La casacca grigia fu indossata nel periodo di gloria da campioni che fecero grande la Nazionale, quali Adolfo Baloncieri, considerato tra i più grandi giocatori dell’ epoca da Gianni Brera, al pari di valentino Mazzola e Giuseppe Meazza. Nel primo dopoguerra, la bontà del vivaio alessandrino e le capacità tattiche della squadra, capace di importare modelli tattici evoluti dall’Inghilterra tramite allenatori britannici, fecero parlare di “scuola alessandrina”. Nel 1927, l’Alessandria si aggiudicò la “Coppa CONI”, progenitore della attuale coppa Italia, imponendosi proprio contro i conterranei del Casale. Mentre in campionato, una sconfitta inopinata alla penultima giornata, sempre contro il Casale, fece sfumare il sogno dello scudetto, nel 1928, a beneficio del Torino. Su quella partita, rimase il sospetto di una combine.
Nel 1937, per la prima volta, l’Alessandria finì in serie B. Dopo alterne stagioni, a metà dgli anni ’50, l’Alessandria visse l’ultimo ciclo in serie A.
Nella stagione 1959-60, esordì contro l’Inter, proprio con la maglia alessandrina, a nemmeno sedici anni, Gianni Rivera, il “golden boy” del calcio italiano, secondo alcuni il più forte italiano di ogni tempo.