L’NBA è una delle leghe che più mette pressione ai propri giocatori, specie se selezionati come scelta numero del Draft, diciamo la via principale con il quale i giovani entrano a far parte di una squadra professionista. Sino a questo momento, però, Anthony Bennett è andato molto peggio di come ci si poteva aspettare: non era designato come scelta numero uno, i Cleveland Cavaliers sorpresero molto con quella scelta e per il momento non stanno avendo ragione: il rendimento dell’ala è stato infatti molto altalenante, per non dire inguardabile, visto che si tratta statistiche alla mano della peggior prima scelta nella storia dell’NBA. E dato che la reputazione conta più di qualunque altra cosa, di certo la sua carriera sarà in salita indipendentemente dalle cifre che saprà mettere d’ora in avanti: sino adesso ha messo a referto 2 punti e 2 rimbalzi in poco più di 10 minuti d’utilizzo a partita, numeri che persino il quindicesimo uomo di una squadra professionistica dovrebbe essere in grado di fare.
Sino adesso non ha convinto su entrambi i lati del campo, dato che in difesa ha chiari problemi anche solo di posizionamento (al di là quindi di una tecnica modesta) e in attacco ha paradossalmente fatto ancora peggio, dimostrando una tecnica modesta per il ruolo di ala grande e problemi anche di taglia fisica, dato che si è trovato spesso in difficoltà contro atleti più grossi di lui.
Chi invece non ha mai avuto problemi di adattamento è Kobe Bryant, rientrato domenica notte nella sconfitta subita dai Los Angeles Lakers contro i Toronto Raptors, orfani dell’ormai ex dinosauro Rudy Gay, passato ai Sacramento Kings. Kobe ha dimostrato di essere ancora lontanissimo dalla forma migliore, dichiando lui stessi inoltre che in questi mesi di inattività ha perso ritmo, e adesso la sfida è recuperare quella lucidità e quella capacità di fare la differenza che sino all’aprile scorso era il marchio di fabbrica del Mamba. L’augurio di chi è appassionato di questo sport, inoltre, non può che essere quello di rivedere il miglior Bryant, quello che in passato ha deciso le partite da solo grazie al suo talento e alla sua cattiveria sportiva: chissà che non possa compiere il miracolo di portare questi Lakers ai playoff, anche solo per un’apparizione formale, un segnale alla dirigenza che a 35 anni suonati, Kobe Bryant, è ancora in grado di essere il leader di una squadra che punta in alto.
I fenomeni, però, non stanno solamente in campo. Nelle settimane passate ho decantato la bravura di Gregg Popovich, per me il miglior coach di questa NBA, ma subito dietro di lui non può che esserci Rick Carlisle: lo si era già intuito nelle Finals del 2011, quando distrusse tatticamente Spoelstra e permise ai Dallas Mavericks, senza Caron Butler, di diventare campioni NBA grazie a uno straordinario Dirk Nowitzki e a un rigenerato Tyson Chandler. Oggi sono cambiati gli interpreti, le ambizioni sono nettamente inferiori (almeno sulla carta) ma il gioco continua a essere molto consistente e a tratti spettacolare: eppure Calderon ha sempre avuto problemi di natura difensiva, Monta Ellis è risaltato in passato più per i suoi egoismi e protagonismi e Dalembert ha dimostrato di saper fare la differenza soltanto nella metà campo difensiva. Gli altri due del quintetto sono anche i reduci dal titolo 2011, ossia Marion e Nowitzki: in Texas partivano dietro a San Antonio e Houston, e mentre primi sembrano inarrivabili la truppa di Harden e Howard sembra essere raggiungibile e, perché no, anche sfidata ai playoff in un derby che sarebbe bellissimo. Il canto del cigno di un campione leggendario come Nowitzki, che giorno dopo giorno continua a frantumare record su record.
LE PUNTATE PRECEDENTI:
Zona NBA #9 – C’era una volta la terra delle macchine
Zona NBA #8 – Portland, Rose e il season ending injury
Zona NBA #7 – Beasley, Ware e i problemi della Grande Mela
Zona NBA #6 – La trasformazione di Marco Belinelli
Zona NBA #5 – Carter-Williams, Oladipo e il fascino della matricola
Zona NBA #4 – Gigi l’americano
Zona NBA#3 – Power Ranking: Western Conference
Zona NBA #2 – Power Ranking: Eastern Conference
Zona NBA #1 – La compagnia dell’anello
Zona NBA #0 – L’antefatto e il numero zero