Dietro alla lavagna
Questo non è lo sport che vogliamo. Lo dico senza timore reverenziale, convinto di rappresentare una bella fetta di sportivi italiani che, ieri pomeriggio, hanno letteralmente strabuzzato gli occhi davanti alla decisione del giudice sportivo Gianpaolo Tosel: per chi ieri avesse interrotto le comunicazioni con il mondo, faccio un breve riassunto. La Juventus è stata multata per i cori effettuati dai giovani e, cito testualmente, “giovanissimi” che domenica sera hanno affollato le curve dello Juventus Stadium. In pratica una multa sulla multa, visto che la presenza dei bambini in curva era giustificata dalla chiusura delle stesse per “discriminazione territoriale”.
Della questione relativa al coro se n’è già occupato il nostro Mariani nell’editoriale del lunedì, e per questo motivo vorrei soffermarmi soprattutto sull’ultima genialata di Tosel, un giudice che se già prima non godeva di grande stima tra i calciofili, a maggior ragione da oggi potrebbe non riscuotere consenso nemmeno tra i suoi più stretti collaboratori. Perché? Perché l’ipocrisia e la mancanza di coerenza (anche a distanza di pochi giorni) non dovrebbero essere caratteristiche tipiche di chi ricopre un ruolo importante come quello di giudice sportivo. Fa sicuramente effetto sentire bambini e ragazzini intonare il coro “Ohhh merda” in seguito a un rinvio del portiere avversario, ma il problema è antecedente al calcio: è una problematica di cultura sportiva, dove lo schernire l’avversario è più importante che sostenere la propria squadra, dove gli insulti e i gestacci nei confronti del calciatore ospite che ha appena tirato un pallone in curva sono all’ordine del giorno. Però queste cose nel calcio ci sono sempre state, e nei limiti del buon senso chiunque si è divertito in passato a schernire un proprio amico, venendo poi successivamente sbeffeggiato alla prima occasione utile.
Diciamocela tutta, però, perché in questi giorni ho letto molte opinioni circa questa vicenda: il problema forse è di chi li educa, i bambini. Forse il problema è di chi, a ogni partita, rispolvera il linguaggio peggiore che un essere umano è in grado di utilizzare, autorizzando di fatto i ragazzini a emularli: e perché no, è anche colpa di chi in campo non aspetta altro che prendersela con l’arbitro per decisioni lampanti ed evidenti, allegando anche insulti coloriti a gesti fin troppi plateali. Dopo le pesanti squalifiche inflitte alle società per i cori discriminatori dal punto di vista territoriale, oggi anche i bimbi sono stati messi dietro la lavagna: premesso che intonare “Vesuvio lavali col fuoco” è quanto di più becero e irrispettoso ci possa essere, di certo il problema non lo si risolve squalificando le curve, specie se lo si fa soltanto con alcune di esse. Il problema non si risolve creando un danno alle società stesse, così come non si educano i bambini infliggendo cinquemila euro di multa alla relativa squadra del cuore; per questo motivo mi aspetto che, nelle prossime settimane, piovano squalifiche per tutti quei tifosi che, magari dalle tribune d’onore, s’improvvisano oratori navigati nel tentativo di insultare quello o quell’altro calciatore avversario. Perché il compito di un giudice, prima d’ogni altra cosa, è fare giustizia: e senza alcun remore mi sento di dire che, nella maggior parte dei casi, la giustizia sia messa da parte applicando discriminazioni a destra e a manca.
Equità, quella parola tanto cara che spesso resta un’entità astratta e mai realizzata: eppure dovrebbe essere alla base della convivenza civile. Inoltre di tutta questa giornata passata allo Stadio, che cosa rimarrà nella mente dei bambini? Probabilmente la zuccata di Llorente che ha permesso alla Juventus di allungare in classifica sulla Roma: ed è giusto così, perché 14 anni li abbiamo avuti tutti e non possiamo non ricordarcene. E’ la mente di chi li teneva per mano, i bambini, che dovrebbe soffermarsi su altro, multa o non multa.