No, non è una favola anche se il titolo inganna oggi nella consueta rubrica settimanale di NBA vi parliamo della realtà più bella di questo primo mese di basket a stelle e strisce: gli Indiana Pacers. Bisogna partire a ritroso, nemmeno pochi mesi fa la franchigia allenata da Frank Vogel aveva dato filo da torcere ai Miami Heat di LeBron James costringendoli a gara 7, ma allora dove sta la novità direte voi? La sorpresa c’è e come dice un antico detto: “il segreto sta nei numeri”. Già quei numeri che stanno facendo rabbrividire il continente americano, ok siamo ancora a dicembre ma una squadra capace di realizzare un record di 16 vittorie e appena due sconfitte è da titolo.
I Pacers dell’anno scorso nonostante la finale a est, nemmeno per un istante hanno dato la sensazione di poter vincere gara 7 all’American Airlines Arena di Miami, fortissimi in difesa ma scarsa circolazione di palla e tiratori discontinui, su tutti Paul George da cui l’intera popolazione di Indianapolis si aspettava di più, ma “qualcosa è cambiato”, non me ne voglia il grande Jack Nicholson, tutt’altro che tifoso dei Pacers. Già Paul George, attualmente tra i giocatori più determinante della lega con 24 punti, 6 rimbalzi e 3 assist di media a partita. Attorno all’ex giocatore di Fresno c’è pero’ un sistema ben costruito da uno che di basket ha sempre capito qualcosina: “the white one” Larry Bird. L’ex giocatore dei Boston Celtics è l’attuale direttore generale dei Pacers, o meglio è la pozione magica che ha permesso la crescita di questo roster. Giocatori del calibro di Roy Hibbert, George Hill e David West fanno sì che far canestro ai Pacers sembri più difficile che abbattere il muro di Berlino. L’inserimento di un elemento importante come Luis Scola, poi, ha permesso una rotazione più ampia e una maggiore qualità anche dalla panchina, cosa che l’anno scorso era un problema macroscopico per i leader della Central Division. Fatte queste premesse, si potrebbe quasi spegnere la tv, accenderla ad aprile e vedere i Pacers dominare i playoff, ma, in Nba nulla è certo, il dubbio è vigile da quando Naysmith creò questo meraviglioso “giocattolo”. Rivali del calibro di Heat, Spurs e Thunder possono mettere i bastoni tra le ruote a Paul e compagni, che però hanno tra le loro fila un’arma segreta, la croce e la delizia di ogni allenatore, l’arma a doppio taglio, uno dei più grandi agonisti della lega: “born ready” meglio noto a tutti come Lance Stephenson. No, non mi ero certo dimenticato del classe ’90 newyorkese che quest’anno potrebbe essere l’ago della bilancia dell’ intera lega. Dodici punti, 6 rimbalzi e 5 assist di media per lui, ma i numeri spesso non dicono tutto. Il carisma e la determinazione di Lance può essere il plus di questi Pacers indirizzati verso una stagione memorabile. Il problema però come nella maggior parte dei giocatori cresciuti sui playground d’America sta nella testa, e’ lì che Stephenson deve migliorare e rispetto alla passata stagione sembra che questo stia accadendo, l’effetto Bird e il desiderio di portare a Indiana il primo storico titolo della NBA sono più forti di qualsiasi capriccio mentale. C’era una volta Indiana, conosciuta per la 500 miglia o al massimo per i Colts tre volte campioni della NFL, oggi Indianapolis e Indiana ci sono ancora, sono quelli in canotta e pantaloncini, e forse se gli Dei del basket decideranno, potreste riconoscerli già a giugno da un inconfondibile anello al dito.