Sono già passati due mesi dalla prima puntata di Zona NBA, eppure sembra trascorso un solo giorno da quando, in redazione, mi accingevo a preparare il materiale da proporre per le prime uscite. Di certo non avrei mai immaginato di dover esporre così tante e, soprattutto, inaspettate argomentazioni. A partire dalla questione Michael Beasley, uno che per il momento, tra i professionisti, è stato ricordato più per quello che avrebbe potuto fare che per quello effettivamente fatto con la palla da basket tra le mani. Tralasciando volutamente le sue esperienze extra-cestistiche adesso sembra una persona nuova, diversa nello spirito e trasformata nella mente, in grado di essere nuovamente padrone di se stesso, per quanto sia possibile con quella testa. Giocare in una contender, probabilmente, gli ha cambiato la vita: così come essere tornato a casa, da quei Miami Heat che lo scelsero la notte del Draft 2008. A tal proposito, onore agli stessi Heat che, qualche giorno fa, hanno deciso di donare la bellezza di un milione di dollari all’Unicef. Chapeau.
Ricordiamo tutti la sua cessione, contemporanea all’arrivo di Lebron James e Chris Bosh in Florida, e l’aver ritrovato oggi, al suo ritorno a Miami, anche l’amico Dwayne Wade è stato sicuramente uno dei motivi principali del suo tornare a giocare minuti importanti in una squadra che conta per davvero, dimostrando al mondo intero perché lui ha un posto sulla Terra: per giocare a basket e, ovviamente, per segnare canestri a ripetizione. Genio e sregolatezza, anche se per il momento più la seconda. Nessuno avrebbe azzardato anche solo una minima ipotesi su Beasley, arrivato in estate insieme a Greg Oden con il compito di rinforzare una squadra già campione, ma proprio per questo motivo con il rischio di trovarsi con la pancia piena. Ecco, onestamente, mi sarei aspettato minuti (pochi) di qualità dal centro ex Blazers, ma mai avrei potuto pronosticare in così poco tempo la resurrezione del talento uscito da Kansas University.
Parlando di College Basketball, una piccola ma doverosa parentesi: Kevin Ware è incredibilmente tornato in campo dopo il drammatico e tremendo infortunio patito in primavera con la maglia di Louisville. Vi ricordate di quel ragazzo che, nel tentativo di stoppare un suo avversario, si ruppe nel vero senso della parola la gamba? Ecco, lui che era stato inserito alla quinta posizione nell’NBA recruit, adesso è tornato in campo e il pubblico lo ha omaggiato con una standing ovation degna di una stella NBA che fa ritorno a casa. Stella sul campo lo deve ancora diventare, ma il suo esempio sarà di fondamentale aiuto a tanti ragazzi che, ogni giorno, combattono con gli infortuni del basket professionistico (e non) americano nella speranza di ritornare almeno come prima, se non addirittura più forti. E tanto per dimostrare al mondo intero chi è Kevin Ware, il primo tiro ha deciso di prenderlo (e segnarlo) da sette metri, in jumper: e, per quanto riguarda i decibel, credo che nel palazzetto si sia andati fuori scala.
Da un infortunio all’altro, anche se in questo caso si parla di un’affermata stella NBA. Per chi vive a Los Angeles, tra le altre cose, è la stella per eccellenza che, dopo soli sette mesi dall’operazione per la rottura del tendine d’Achille, potrebbe presto tornare in campo: stiamo ovviamente parlando del #24, Kobe Bryant, uno che già normalmente tendi a evitare di trovartelo di fronte sul parquet rettangolare. Non invidierò di certo la squadra che lo avrà come avversario alla prima dopo l’infortunio, magari allo Staples Center, tra le mura amiche. Perché non c’è nulla di peggio che un Mamba leggermente addormentato, apparentemente morto, ma che potrebbe risvegliarsi da un momento all’altro, con in più la voglia di mettere alle spalle sette lunghi mesi di esilio forzato.
Per la chiosa finale, invece, dobbiamo trasferirci dall’altra parte degli Stati Uniti. Precisamente a New York, sponda Knicks, dove probabilmente stanno passando il periodo più duro degli ultimi cinque anni: eppure per fare peggio di quando in regia c’era Duhon e sotto le plance un certo Jeffries ce ne vuole. Si tratta chiaramente di un’iperbole che, però, rende l’idea sull’inizio di stagione degli arancioblu, una squadra in totale confusione e con un allenatore che sembra non avere esattamente in controllo lo spogliatoio: con Metta World Peace e JR Smith probabilmente nessuno lo avrebbe, ma l’anarchia totale che New York mette in campo ogni sera è disarmante. Vedere Felton, Shumpert, Hardaway Jr. e lo stesso Smith sparacchiare a destra e manca, con un certo Andrea Bargnani che, quando coinvolto, ha risposto molto più che presente, è imbarazzante. E’ imbarazzante da italiano ma lo sarebbe anche se fossi nato nella Grande Mela e respirassi pallacanestro sin dal primo giorno di vita. Come Carmelo Anthony, per esempio. Un consiglio: iniziare a difendere potrebbe essere un buon inizio, e che Tyson Chandler ve la mandi buona.
LE PUNTATE PRECEDENTI:
Zona NBA #6 – La trasformazione di Marco Belinelli
Zona NBA #5 – Carter-Williams, Oladipo e il fascino della matricola
Zona NBA #4 – Gigi l’americano
Zona NBA#3 – Power Ranking: Western Conference
Zona NBA #2 – Power Ranking: Eastern Conference
Zona NBA #1 – La compagnia dell’anello
Zona NBA #0 – L’antefatto e il numero zero