Lotta salvezza: non prenderle e neanche darle

Ieri abbiamo parlato di un Milan con «poco da stare, Allegri». Era un gioco di parole, ma non uno scherzo. Anche se il tecnico livornese è sempre riuscito a sfangarla (perché, dopo la vittoria al primo anno, sono venuti sì i tempi duri, ma anche rimonte non indifferenti), però, suonano come una condanna le dure parole di Adriano Galliani: «La fiducia in Allegri c’è, assolutamente» (sottinteso: quando giochiamo a bridge).

Cerchiamo quindi di guardare a chi sta messo peggio: troppo facile parlare delle “miserie” romaniste, figlie di dieci vittorie consecutive, prima dell’inatteso pareggio di Torino (4 punti in 5 partite: lo stesso ruolino dei rossoneri). Battute a parte, il tecnico francese fa più che bene a gettare acqua sul fuoco: le inseguitrici sono adesso a soli tre punti, e non è detto che, prima o poi, anche ad una striscia record segua una stagione senza scudetto.

Quindi, alla fin fine, i veri “drammi” si svolgono la sera di un lunedì pomeriggio come tutti gli altri: la gente è tornata al lavoro, è stanca e annoiata, e per tirarsi su guarda il posticipo. Un mortorio. Bologna-Chievo è finita a reti inviolate, e anche a spettacolo inviolato. Non ce ne vogliano i giocatori, ma la partita valeva forse solo il costo di un biglietto… omaggio.

L’anticalcio? Forse, ma non esageriamo. Ma sicuramente una partita in cui ha prevalso la paura. Primo, non prenderle: entrambi hanno pensato questo e, così concentràti, si sono lungamente impegnati a non darle. Difficile pensare a qualcosa di diverso, nella lotta salvezza. Ma è proprio sicuro?

Perché, alla fin fine, per vincere bisogna anche osare. Siamo solo a novembre, vero; ma non è mai troppo presto per cominciare a mettere fieno in cascina. Non è neanche una questione di spettacolo: si può osare pur rimanendo inguardabili. È proprio l’attitudine, non l’apparenza, a mancare. Perché alla fine si salverà chi sarà stato in grado di portare a casa quanto basta, e per farlo sarà necessario osare. Serve per vincere dieci partite consecutive, quindi anche per (provare a) vincerne una sola (la prossima, si dice sempre).

A pensarci bene: limitarsi a difendersi, a sopravvivere, non è sufficiente per poter dire di vivere. Vale per una squadra (si parli di calcio o di un altro sport), vale per le persone. (Perché l’essere umano sopravvive, laddove invece la persona vive.) Lo stesso dicasi per il tifoso o il telespettatore: ricomincia una settimana da vivere, e ieri non è stato proprio un buon esempio.

E adesso siamo già a martedì: fino al finesettimana non sentiremo parlare né di Bologna, né del ChievoVerona, né proprio della Roma: tutte fuori dalle coppe europee, tutte con il tempo necessario a riflettere. E magari a (re)agire.

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Pietro Luigi Borgia