Il campione e il premio Nobel

A lei fu assegnato il Nobel per la pace nel 1991, a lui il Pallone d’oro del 1993.
Due premi ben diversi, umanitario il primo, sportivo il secondo. Eppure, anche per noi lettori che ci affacciamo sulle notizie da una distanza mediatica, i due riconoscimenti, come i fili intrecciati di un destino di canapa, finiscono per tessere una trama che restituisce insieme i volti dell’attivista birmana per i diritti umani, Aung San Suu Kyi e del più grande campione italiano degli anni ’90, Roberto Baggio.

Quando alla birmana Aung San Suu Kyi venne riconosciuto un importante premio in Campidoglio, che le fu impossibile ritirare per via degli arresti domiciliari cui era stata sottoposta dal regime militare del suo Paese, fu proprio Roberto Baggio a ritirare il premio in suo nome.
Baggio, che al termine dell’attività agonistica si è ritirato a vita privata e non frequenta assiduamente le tribune degli opinionisti televisivi. Determinato e mite al tempo stesso, forte della propria fede buddista, Baggio ha preferito intraprendere il ruolo di ambasciatore di pace, rimettendo la propria fama e il grande amore che ancora oggi la gente gli tributa, al servizio di cause civili planetarie, piuttosto che monetizzare la coda di popolarità come controcoro di una telecronaca domenicale o come raccontatore professionale di aneddoti on demand.

Aung San Suu Kyi, solo da un paio d’anni ha ritrovato la libertà dopo una vessazione ventennale che le ha impedito di vedere i figli crescere o anche di assistere il marito morente. Ma durante la propria prigionia, era proprio sul “Divin Codino” che era ricaduta la sua simpatia, affinché raccogliesse il silenzioso testimone della battaglia che stava conducendo. Né Baggio si è sottratto. Non importa con quanta immedesimazione o con quale sforzo diplomatico, ciò che conta è che senza alcun protagonismo aggiunto, Baggio aveva accolto questa urgenza proveniente dal lontano e amato oriente e l’aveva rappresentata nel proprio sorriso genuino.

Campioni di un altro respiro. Come Maradona, che si è prestato a comparire al fianco di Fidel Castro, magari anche discutibilmente (dato il personaggio politico), ma senza mai rifiutare di denunciare “le vene aperte dell’America Latina”. O come Ruud Gullit, che nei primi anni della propria storia milanese, alternava gli allenamenti con i concerti del suo piccolo gruppo reggae, suonando contro l’apartheid e per la liberazione di Nelson Mandela.
Per ciascuno di loro, la motivazione individuale e l’iniziativa personale determinava un impegno che andava sicuramente oltre l’adesione alle iniziative comandate della FIGC o altri Enti deleganti. Sincerità, era forse la parola chiave.

“Finalmente, dopo tanto tempo siamo fianco a fianco e possiamo guardarci negli occhi”. Così Baggio si è rivolto ad Aun Sang Suu Kyi, a Roma, nell’atteso incontro del 28 ottobre. Con la stessa semplicità presente anche nelle parole di lei, quando gli ha risposto di avere da sempre una predilezione per gli uomini con l’orecchino. Nessuna conferenza sistemica, né propaganda rivoluzionaria. Ma un comune sentire, che poi è la base di quanto si desidera, quando si pensa al significato dei diritti umani.

Negli anni, la mobilitazione degli artisti a favore della leader birmana è stato incessante. Dagli U2 ai REM, dal cinema alla letteratura, gli artisti che ne hanno ammirato la forza d’animo sono stati tantissimi. Ma forse, Roberto Baggio, una carriera intera spesa ad allenarsi a parte, ignorando quel dolore sempre presente nelle ginocchia malconce, che avrebbe dovuto allontanarlo dal calcio a nemmeno vent’anni, più degli altri ne ha saputo incarnare la dolcezza e il temperamento.

Troppo spesso oggi chiediamo ai calciatori, in virtù del loro ruolo privilegiato, di aderire a messaggi calati dall’alto, magari accontentandoci di una momentanea e simbolica adesione, oltre una reale spinta interiore. Con impegno e sofferenza Aun Sang Suu Kyi ha saputo diventare un’icona della pace e della non violenza per un popolo intero, affinchè non rinunciasse ai propri diritti. E se, più modestamente, Roberto Baggio invece rappresentasse l’esempio di impegno possibile, per i propri colleghi calciatori?

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Paolo Chichierchia